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Norton: Non chiamatemi cattivo

Bourne Legacy - L'intervista

The Bourne Legacy - Edward Norton

06.09.2012 - Autore: Pierpaolo Festa
Camicia e cravatta, una vocetta innocente e un aspetto tranquillo. Eppure Edward Norton non esita a sganciare missili sui bersagli per far sparire il lavoro sporco del governo. E’ lui la nemesi in The Bourne Legacy: “Non direi che si tratta di un cattivo di genere – racconta l’attore a MSN – Il regista Tony Gilroy ha creato in sceneggiatura l’opportunità di spiegare certe posizioni difficili di questo personaggio. Io gli chiedevo se interpretavo un uomo veramente sincero, lui rispondeva: ‘Assolutamente! Al cento per cento: il tuo personaggio è convinto che con le sue azioni salverà l’America e il mondo’”.

Sullo schermo ti vediamo con i capelli grigi. Hai esitato quando te l’hanno proposto?
A dire la verità è stata una mia idea. Mi sono ispirato a Rham Emanuel, sindaco di Chicago ed ex Capo di Stato di Obama. Era davvero giovane quando è entrato alla Casa Bianca. In meno di due anni tutti i capelli gli sono diventati bianchi. Per prepararmi al ruolo ho pensato a giovani che d’un tratto hanno grandi responsabilità, mi è venuto in mente Rham. È un po’ come il mio personaggio: fragile e magro, ma si dice che sia anche piuttosto duro sul lavoro.

Di solito si dice che sei un outsider di Hollywood, eppure The Bourne Legacy è un franchise prodotto da uno Studio…
Be’, ho fatto anche Red Dragon e L’incredibile Hulk. Quella su Hannibal Lecter è stata una scelta simile a Bourne Legacy: all’inizio non ne ero sicuro, poi la sceneggiatura mi ha convinto. E c’erano tanti grandi attori con cui volevo lavorare, quindi ho pensato che sarebbe stato interessante.

Come mai dunque The Bourne Legacy?

Ero entusiasta all’idea di lavorare con Tony Gilroy. Per me questo è il suo film. Quando ho visto Michael Clayton mi sono reso conto di quanto fosse speciale. Lui è sempre interessato a personaggi che d’un tratto si guardano indietro, rendendosi conto di essere molto lontani dagli ideali che hanno abbracciato in passato. Un’altra ragione è legata al fatto che il film è stato girato in parte a New York, la mia città.

Parliamo della Grande Mela, allora. Una delle caratteristiche dei personaggi del franchise di Bourne è quella di essere quasi invisibili: come ci riesci a New York?

Penso che New York sia ancora la città più grande del mondo. In quanto alla privacy e alla gente che mi riconosce e mi avvicina per strada, è una cosa che ho imparato a gestire. E’ come avere la pressione alta: la puoi controllare. Dopo un po’ ti abitui, a meno che tu non abbia reazioni folli, allora ti lasciano in pace. Alcune persone che hanno problemi con le celebrità, hanno in realtà problemi con loro stessi.

Ok, adesso devo chiederti delle voci che circolano sul fatto che tu sia un po’ troppo esigente sul set e che a volte abbia anche avuto diverbi con i tuoi registi…
E’ una cosa su cui i media ricamano molto. Hanno detto che ho avuto scontri con Tony Kaye sul set di American History X, ma non è assolutamente vero. Le tensioni sono state tra lui e la produzione. La verità è che mi è capitato di fare film le cui riprese sono state difficili, ma non c’è mai stato uno scontro personale con i registi.

Ci sono registi con cui ti piacerebbe tornare a lavorare?
Diciamo tutti. Mi spiace non aver avuto più occasioni in passato. Amo lavorare con John Curran, un regista pieno di talento che mi ha diretto ne Il velo dipinto e Stone.

Cosa ti piacerebbe realizzare in futuro?

Sono ormai diversi anni che lavoro a un progetto intitolato Motherless Brooklyn. Penso che sarà il mio prossimo film. Non si tratta di un adattamento diretto del romanzo originale di Jonathan Lethem, ma di una fusione tra il suo protagonista e un'altra storia newyorchese. Mi interessa perché il protagonista è un ossessivo compulsivo, e ho trovato spazio per renderlo un po' divertente.

The Bourne Legacy, dal 7 settembre nei cinema, è distribuito dalla Universal Pictures.

Per saperne di più
La video intervista esclusiva al regista Tony Gilroy


 

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