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Milena Canonero, una vita di stoffa tra Torino e Los Angeles 

Esordiente per Stanley Kubrick e veterana agli Academy con tre statuette, è l’unica italiana candidata agli Oscar 2015

16.02.2015 - Autore: Alessia Laudati
Regale e minimale come i talenti puri che sanno apparire privi di presentazioni e vestiti solo di drammatica essenza. Milena Canonero, torinese, quasi settanta primavere, quaranta film realizzati nel ruolo di costumista, tre Oscar vinti e la consapevolezza che i numeri non descrivono la totalità della persona, è esclusivo portabandiera dell’eccellenza nostrana alla prossima cerimonia degli Oscar che avrà luogo a Los Angeles il 22 febbraio. 
 
Eppure, diversamente da quanto accadeva l’anno precedente con la candidatura di La Grande Bellezza, fare il tifo per Milena Canonero non significa assistere con trepidazione e immedesimazione allo sbarco della maestranza italiana nella terra in qualche modo estranea della bandiera a stelle e strisce. La designer, non è di certo una provinciale di Hollywood; piuttosto una sua tenace protagonista che fin dagli esordi ha saputo guardare a ciò che veniva realizzato con successo dalla cinematografia nostrana, incrociandolo con i grandi mezzi della produzione statunitense. Dopo aver studiato a Genova Arti e Storia del costume, la giovane costumista si trasferisce a Londra nel pieno del fervore artistico dell’epoca e fa un incontro, quello con Stanley Kubrick, che le cambierà in qualche modo l’esistenza. 

I drughi di Arancia Meccanica (1971)
 
Nel 1971, lavora come costumista ufficiale per il film Arancia Meccanica. E non si tratta di un primo lavoro timido e impacciato. É sua l’idea di regalare ai membri della gang di strada quel fascino grottesco ottenuto grazie al rovesciamento estetico dei simboli iconici della borghesia inglese: bombetta e bastone. Nel 1975, al suo secondo lavoro e al primo Oscar in assoluto della propria carriera, è di nuovo sul set con Stanley Kubrick per il film Barry Lyndon. Seppur lanciata sul mercato estero, la Canonero fa qui sentire con chiarezza il rapporto che la lega ai maestri italiani. Sul set di Barry Lyndon, per riuscire a vestire il numeroso cast e far resuscitare l’atmosfera storica dell’Inghilterra del Settecento, crea un laboratorio di sartoria, il primo nel paese e ispirato al lavoro che Danilo Donati conduceva in quegli anni sui set italiani. Il rapporto con i talenti nostrani non si arresta tuttavia sulla soglia della semplice mimesi degli strumenti produttivi e organizzativi. Un pezzo di storia del cinema gravita intorno alla storia di Redmond Barry. Gli unici cinque abiti acquistati e non creati ad hoc per la pellicola, sono quelli reperiti nella Sartoria Safas di Roma e disegnati con molta probabilità da Piero Tosi sulla linea viscontiana di Il Gattopardo. 

Barry Lyndon (1975)
 
E se la carriera della Canonero continua in America, la lontananza dal Belpaese è solo apparente. Nel 1981, il secondo Oscar per Momenti di Gloria, la riporta nella capitale, presso la Sartoria Tirelli, dove realizza molti degli abiti indossati dai giovani dandy inglesi nel film di Hugh Hudson. 
 
Negli anni ’90, ormai lanciata sul mercato delle grosse produzioni americane, prende parte ad alcuni dei film che saranno le colonne portanti della biblioteca universale del cinema. Tra questi, l’incontro con Francis Ford Coppola sul set di Il Padrino parte III, sarà il trait d’union che sedici anni dopo la porterà sul set della figlia del regista, Sofia, e alla realizzazione degli abiti pop il cui gusto inconfondibile le farà vincere il terzo Oscar della propria carriera.


Marie-Antoinette (2006)

Gli anni 2000, sono però segnati anche dall’incontro con un regista visionario e dall’estetica particolarissima; Wes Anderson. In collaborazione con il regista texano, la Canonero scopre l’attrazione per le divise marinaresche dell’equipaggio disfunzionale di Steve Zissou e successivamente, in Grand Budapest Hotel, quelle più rigorose e appartenenti al personale di un albergo strambo e isolato. Anche qui, il legame con l’Italia si rinsalda nella realizzazione dei costumi portata avanti da firme come Prada e Fendi, sotto la supervisione vigile della designer. E allora, nonostante gli anni fuori dalla penisola e un marito americano, l’attore Marshall Bell, le radici italiane oggi non mentono, anzi pulsano; specialmente in una notte particolare come quella degli Oscar. 
 
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