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Melinda e Melinda

L'esperienza cinematografica come creazione di un personaggio: dalla mente di Woody Allen nascono le due vite parallele di Melinda, una vita dai risvolti tragici, l'altra dai risvolti comici.

melinda e melinda

12.04.2007 - Autore: Giulia Villoresi
Regia: Woody Allen Con:Will Ferrell, Vanessa Shaw, Chiwetel Ejiofor, Johnny Lee Miller, Radha Mitchell   Gente di cinema si incontra in una the room di New York e disquisisce sui meccanismi basilari che danno vita ad una sceneggiatura. Dalla loro fantasia escono le due storie parallele di Melinda (Radha Mitchell), una giovane donna che dalla vita privilegiata e tranquilla di Park Avenue si ritrova, dopo un matrimonio fallito, a dover affrontare amori che vengono, amori che fuggono, depressioni, manie suicide, sogni infranti di giovinezza. Ad una Melinda andrà bene mentre all\'altra Melinda andrà male, come dimostrazione di un intreccio comico e di un intreccio tragico. È interessante assistere al processo creativo del cinema, tema particolarmente caro a Woody Allen. Melinda 1 e Melinda 2 mostrano l\'inesorabile destino dei prodotti di fantasia, maneggiati come burattini nei loro innamoramenti e disfacimenti, nelle loro aggregazioni e disgregazioni, nelle loro gioie e nei loro dolori. Il personaggio fittizio, scelto a caso nel repertorio di uno sceneggiatore, si anima di vita propria e vive le sue vicende da essere umano. Diventa talmente reale da rendere quasi immorale lo sceneggiatore, che da artista sembra trasformarsi in burattinaio sadico che si diverte a decidere i paradossi e le catastrofi dei suoi burattini. L\'episodio comico e quello tragico non hanno pretese di originalità. Le due Melinde non sono altro che le vittime sacrificali di un esperimento che vuole indagare i luoghi comuni del cinema. E Woody Allen ci infila tutti quelli a cui è debitore: le nevrosi, le pillole, il fumo, shopping e colazioni della upper class, bistrot, lumi di candele, il tradimento con la migliore amica, l\'amore per il migliore amico. Tutto questo sullo sfondo della solita New York e del solito jazz. Ma la New York di Allen non dice più niente di nuovo, e sembra che il regista abbia ormai esaurito la sua scorta di battute. Si ride al massimo tre volte, ed è sempre un po\' per dovere: - Insomma, è un film di Woody Allen, bisognerà pure che mi faccia qualche risata! -. Ecco cosa si pensa mentre si susseguono le vicissitudini grottesche ormai ben note, le battute sul sesso e il paradosso umano. Il suo alterego, Will Farrell, non regge il confronto, come non lo reggeva Jason Biggs in \"Anithing Else\". Diventa fastidioso dover vedere qualcuno che si muove come lui, che parla come lui, che pensa come lui ma che non è lui. Si diventa nostalgici. È fastidioso persino, nel doppiaggio italiano, che la sua voce non sia quella di Oreste Lionello. L\'episodio comico non è comico e l\'episodio tragico non è tragico. Allen aveva già dimostrato, con \"Anna e le sue sorelle\", quanto fosse in grado di fare un film drammatico. E quanto alla comicità, se c\'è un maestro è lui. Ma il maestro, giunto ai settant\'anni, comincia a perdere qualche colpo.  
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