Mentre Dario Marianelli si apprestava a ritirare la statuetta d’oro per il suo commento originale ad Espiazione di Joe Wright c’era chi tirava un sospiro di sollievo, riconciliato con le scelte dell’Academy dopo almeno due anni di scontentezze e recriminazioni in merito a conferimenti quantomeno discutibili. Stavolta invero il meccanismo del Golden Globe come anticamera dell’Oscar ha funzionato in pieno, assicurando così al drammatico score del compositore pisano il meritato conseguimento di entrambi i premi. Eppure dopo i deludenti esiti dello scorso anno, con la vittoria di Gustavo Santaolalla per l’esiguo contributo alle immagini di Babel – decisione che oltretutto gettava benzina su un fuoco già attizzato dalle sonore critiche al riconoscimento tributato sempre al musicista argentino l’anno precedente per Brokeback Mountain – anche con il premio delle stampa estera nelle mani di Marianelli il dubbio restava più che lecito.
La ricercata partitura di Espiazione, con il suo austero e insieme passionale trattamento classico (le parti per pianoforte affidate a Jean-Yves Thibaudet) e l’intuizione decisamente coinvolgente dell’inclusione del suono di una macchina da scrivere in partitura, ha avuto la meglio su un parterre di pretendenti non meno apprezzabile, i cui firmatari e il carattere scevro certificano il funzionamento di un nuovo regolamento nella prassi delle valutazioni spettanti al music branch. Una semplice prescrizione, introdotta da questa edizione, latrice di un potere talmente ridimensionante ai fini delle abitudini d’ascolto della musica da film da risultare alla stregua di una vera rivoluzione – almeno nel contesto di un’ideologia ancora protesa al retaggio della tradizione come quella dell’Academy.
Lo scorso anno si è infatti posto il veto all’invio degli Academy Promo, le pubblicazioni discografiche appositamente preparate dagli studios per promuovere tra i membri votanti le colonne sonore dei propri lungometraggi, offerti in selezioni spesso esclusive e altre volte anche più generose delle edizioni commerciali. Scoraggiato l’ascolto delle composizioni svincolato dalle immagini, si promuove così un’attenzione valutativa mirata all’apprezzamento degli score nella forma naturale, all’interno di un progetto audiovisivo in cui la musica attesta la validità del suo apporto al girato in convivenza con dialoghi e colonna rumori. O, viceversa, la sua inefficacia magari dovuta ad un entusiasmo protagonistico e vanesio ben poco sensibile alle reali esigenze filmiche - anche se la nuova normativa denuncia fin troppo apertamente il suo carattere di arma a doppio taglio (una certa predisposizione all’ascolto distratto di una pellicola potrebbe favorire le colonne musicali dall’effetto facile e dal sensazionalismo drammatico).
Ecco perché non ci si sorprende di aver trovato in nomination il Marco Beltrami dell’aderentissimo spartito per Quel treno per Yuma di Mangold o il sintetismo del James Newton Howard di Michael Clayton, assieme a candidature forse maggiormente prevedibili come quelle per Ratatouille (Michael Giacchino) e Il cacciatore di aquiloni (Alberto Iglesias).
L’espiazione dell’Academy verso il pubblico e gli appassionati più attenti ed esigenti ha però ancora le sue tappe da coprire. Difficile ad esempio venire a patti con l’esclusione di lavori perlomeno papabili di nomination per cause addotte alla presenza di troppo materiale di repertorio nelle rispettive colonne sonore: la sorte toccata ad esempio alle coraggiose musiche per archi redatte da Jonny Greenwood per Il Petroliere.
Si spera poi che i positivi segnali di quest’ultima edizione si sviluppino debitamente, senza dissolversi nei ripensamenti che l’accademia della statuetta riserva ormai abitualmente alla categoria più tormentata della gara.


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La strada verso l'Espiazione
Con la statuetta per le migliori musiche a Marianelli l'Academy ritrova il consenso popolare dopo un biennio di scelte contestate. Complice, forse, una variante di regolamento.

03.03.2008 - Autore: Giuliano Tomassacci