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La retorica del dolore

Dopo aver sorpreso pubblico e critica un paio d'anni fa con il caustico "Volevo solo dormirle addosso" Cappuccio alza il tiro e si muove verso i pericolosi lidi del melodramma

Uno Su Due

12.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani
  Dopo aver sorpreso pubblico e critica un paio d’anni fa con il caustico “Volevo solo dormirle addosso” (id., 2004) Eugenio Cappuccio alza il tiro e si muove verso i pericolosi lidi del melodramma, mettendo in scena la vicenda del rampante Lorenzo Maggi che all’improvviso si trova a dover fare i conti con la possibilità della malattia. Fin quando si tratta di raccontare la sofferenza ed il disorientamento di chi ogni giorno deve confrontarsi con il proprio dolore, il film funziona in pieno: la prima parte interamente ambientata dentro l’ospedale è ficcante, omogenea, e soprattutto non si ammanta di una fastidiosa e troppo facile patina pietistica; molto merito di questo va ai personaggi ed agli attori che li interpretano, su cui spicca un Ninetto Davoli assolutamente ispirato e commovente. Purtroppo però il protagonista poi esce dall’ospedale, ed intraprende il suo percorso solitario alla ricerca dell’accettazione e dell’equilibrio; ed allora “Uno su due” si trasforma in una pellicola scontata nelle tematiche proposte e soprattutto nel modo in cui vengono portate a compimento.

Oltre ad un senso di già visto compare in molti punti una retorica nell’affrontare l’argomento principale che spesso scivola in un qualunquismo da telenovela. La sceneggiatura è ben scritta, non mostra nessun forte sbandamento narrativo, ma neppure prova a regalarci uno sguardo originale su quanto racconta. Cappuccio poi non fa nulla per smorzare i toni, anzi sovraccarica la messa in scena con una dose di  musiche ridondanti che nella maggior parte dei casi sembrano essere fuori luogo. In questo modo la seconda parte del film si muove farraginosa verso la conclusione, attraverso una serie di scene tanto prevedibili quanto incapaci di incidere a livello puramente emozionale. Non molto quindi riescono a fare i pur volenterosi attori in scena, costretti a muoversi dentro figure di cui si conosce già il percorso drammatico per averlo visto in troppi film del genere.


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