NOTIZIE

Alla ricerca della felicità umana, il viaggio di Maurizio Zaccaro al Festival di Torino

26.11.2016 - Autore: Mattia Pasquini (Nexta)
Un obiettivo, che ogni consesso civile dovrebbe condividere con i propri componenti, i singoli uomini e donne che ogni giorno si battono per inseguire sogni e traguardi spesso solo apparentemente reali, o quanto meno illusori. Almeno quando a capacità di realizzare o rendere raggiungibile quella che il regista milanese Maurizio Zaccaro è andato indagando nel suo nuovo documentario, La felicità umana, presentato al Festival di Torino 2016 nella sezione Festa Mobile.

"Non c’è posto per chi si lascia vincere dallo stato delle cose, per chi si lascia sottomettere da un’economia sempre più selvaggia" nel mondo di oggi, ammonisce Zaccaro nella presentazione del suo film, una riflessione sull’essenza più pura e vera della felicità e del nostro vivere moderno attraverso - e con l'aiuto di - una serie di interviste a studiosi, artisti, religiosi e persone comuni ("non ci sono i potenti", sottolinea): dai registi Sergio Castellitto, Ermanno Olmi, Markus Imhoof e Bruno Bozzetto ai filosofi André Comte-Sponville, Serge Latouche, Carsten Seyer-Hansen, fino all’ex presidente dell’Uruguay José Pepe Mujica e altri.



"Quando compro qualcosa, non la compro con i soldi, ma con il tempo della mia vita che è servito per guadagnarli" dice proprio il politico latinoamericano. È il 'tempo della vita' contro la 'schiavitù del lavoro', dei consumi: questa la dicotomia, la contrapposizione che emerge a più riprese nella ricerca che per sua stessa ammissione "ha portato lontano" Zaccaro nella sua ricerca di risposte, di leggerezza, di felicità dalla quale però emerge forte una vera e propria "provocazione".

E una domanda: "è vera felicità?". Forse no. "Sembra che abbiamo rinunciato all'eccellenza personale e ai valori della comunità in favore della mera accumulazione dei beni materiali" ci ricorda il filmato, evidenziando il modello di felicità che quotidianamente il mercato ci impone attraverso i media, la pubblicità. La commercializzazione di ogni sentimento, immagine, pensiero che attraverso i social e nuovi canali di comunicazione ci siamo ormai abituati a considerare 'strumento. Secondo la stessa logica per cui ogni avvenimento che viviamo deve essere eccezionale, un evento, unico e irripetibile, anche se standardizzato e seriale… È un caso che tanto i miliziani dell'Isis quanto una suora interpellata concordino sul fatto che la felicità sia tutt'altro, soprattutto in rapporto con la divinità, e che "questa economia uccide"?



Forse no. Ma allora: che cosa è e come si raggiunge la felicità? Una domanda tanto semplice, eppure alla quale sembra impossibile rispondere. E che da sempre ispira reazioni non necessariamente banali. E che in questo film - sociale più che filosofico - acquista una valenza quasi rivoluzionaria, anche nel suo contrastare in qualche maniera la globalizzazione cercando di spingere a rivedere le proprie resistenze più o meno consapevoli al concetto di 'inclusione'. Forse anche per il periodo e le contingenze storiche nelle quali ci troviamo, e che riemergono in molte delle 'confessioni' degli intellettuali mostrati, come nelle tante risposte di tante persone comuni che - come dice il regista - "quando parli di felicità sentono di avere una bacchetta magica o di essere in grado di dirti come raggiungerla".

Per Zaccaro, "la felicità è stata un viaggio, una occasione per vedere persone che non vedevo da tempo"; un viaggio che lo ha portato in giro per il mondo da solo per tre anni e mezzo - durante la realizzazione di altri progetti - per costruire il suo film, completamente indipendente e mosso dalla frase Seneca da cui tutto parte, in un certo senso: "povero non è colui che ha poco, ma colui che desidera infinitamente tanto".

 
FILM E PERSONE