Jim Carrey è a Venezia, e dopo tante discussioni sul significato di alcune visioni registiche o scontri tra titoli importanti che vanno già candidandosi per la vittoria finale del Leone d'Oro della Mostra Internazionale di Cinema 2017, tutto sembra fermarsi. Il documentario di Chris Smith dal titolo chilometrico (Jim & Andy: The Great Beyond - The Story of Jim Carrey & Andy Kaufman Featuring a Very Special, Contractually Obligated Mention of Tony Clifton) ci riporta al 1999, quando il geniale interprete di The Truman Show e Ace Ventura riportò sullo schermo il grande Andy Kaufman nel Man on the Moon di Milos Forman.
Un film magico, costruito su diversi piani e inseguendo la follia del protagonista principale e del suo alter-ego Tony Clifton: star assolute - insieme al nostro Jim - anche di questo particolarissimo dietro le quinte, accompagnato dallo stesso Carrey, uno e trino:
Qual è la storia del materiale utilizzato per il documentario?
Di solito quando fai un film, si prende una troupe per ricavare un EPK (Electronic Press Kit), sviluppando una serie di idee strane, come farti fare un panino mentre parli con una voce strana. Non sempre risultano davvero divertenti, ma dato che Andy e Tony hanno sempre avuto il controllo del progetto, le decisioni non le prendevo io. Al limite lo spirito avventuroso di Bob Zmuda e della sua complice, la ex fidanzata di Andy, Lynne Margulies. Grazie a loro abbiamo avuto una documentazione costante di qualcosa di estremamente speciale, tanto che tutti quelli che lavoravano sul set sono stati concordi sul fatto che il backstage fosse la parte più importante del film.
È stata la prima volta in cui ti sei abbandonato tanto a un personaggio, o lo fai usualmente?
In realtà sospetto che tanto io quanto Andy fossimo dei personaggi… Anzi, ho il dubbio che qualcuno abbia interpretato me per tutta la mia vita, ma non so chi sia! Man on the Moon, per me, è stato qualcosa di unico, un livello 'altro', anche psicotico in certi momenti.
Come attore sei spesso il primo artefice dei tuoi film, hai mai pensato di farne anche la regia?
Si, a un certo punto si. Ma c'è chi lo fa di mestiere, e ci si guadagna la vita. Come Chris, che riesce a sviluppare le diverse idee, come un grande ombrello che contiene gli altri elementi. In realtà preferisco avere la libertà di esplorare in maniera anche eccentrica il personaggio. Forse se non recitassi, potrei diventare regista.
E in questo caso?
Il vero autore, e attore, è Andy. Era così impegnato in ciò che faceva che è stato lui a permettermi di realizzare il film. Pensavo a questo durante la lavorazione, che fosse lui a fare il film. E Andy tornerà in vita con questo film.
Nel quale vediamo però anche i tuoi ricordi e la tua vita…
Si, dopo tutto non esistiamo né io né lui.
È stato difficile dominare il suo lato più esuberante e quello più fragile?
Sin dall'inizio di questo percorso avevo sempre pensato che la mia personalità fosse l'elemento più importante. Quando fai certi personaggi - soprattutto come Andy - ti rendi conto che anche tu che li interpreti sei un personaggio. Oggi me ne rendo conto, grazie a questa esperienza e al confronto con Chris. Siamo un insieme di idee, influenzati dal nostro retaggio culturale, dalla nazionalità, passiamo la vita a cercare una identità cui ancorarci, ma qui non c'è nemmeno la barca. Non siamo null'altro che un insieme di idee, combiniamo queste idee e scegliamo un'etichetta da indossare per tutta la vita. Ma non siamo nulla di tutto questo.
Perché avete aspettato quasi 20 anni per mostrarci questo documentario?
L'amara verità è che all'epoca avremmo voluto fare un doc per farlo uscire dopo il film, ma poi qualcuno propose che tutto il materiale ne facesse parte, montato al suo interno. La Universal temeva che tutto quello che riguardasse Andy fosse un rischio. Posso capirlo… L'importante è che adesso ci abbiano permesso di fare questo.
Non hai avuto la tentazione di portare Tony con te a Venezia?
No, non è qui con me. Abbiamo seguito strade diverse. Non ci siamo lasciati in maniera indolore, ma il suo spirito aleggiava comunque.
Cosa ha significato per te Chris Smith in questo progetto?
Chris ha fatto molto di più di una retrospettiva su Andy, sul mio lavoro e sul suo effetto su di me… Ha avuto una influenza speciale sulla mia stessa identità. E nell'intervista ha sentito il percorso spirituale che avevo fatto nel corso del tempo. È stato eccezionale vedere come abbia saputo entrare nel mio lavoro, al di là della mia maschera e delle smorfie che faccio. Tutti i miei film hanno un significato d'altronde. Anche quelli più ridicoli. È stato gratificante che sia andato oltre la superficie.
Un lavoro che è sempre sovversivo e doloroso, quindi?
Ho iniziato a fare questo lavoro perché volevo distruggere Hollywood, per prendere in giro i leader, le persone dall'ego smisurato, convinte di avere tutte le risposte. Volevo prendere in giro i loro film, per tutta la mia vita. Si deve avere un approccio sovversivo alla vita. A maggior ragione nella città delle maschere, dove la maggior parte di noi ne indossa una e si trova in difficoltà quando trova qualcosa di autentico.
Un film magico, costruito su diversi piani e inseguendo la follia del protagonista principale e del suo alter-ego Tony Clifton: star assolute - insieme al nostro Jim - anche di questo particolarissimo dietro le quinte, accompagnato dallo stesso Carrey, uno e trino:
Qual è la storia del materiale utilizzato per il documentario?
Di solito quando fai un film, si prende una troupe per ricavare un EPK (Electronic Press Kit), sviluppando una serie di idee strane, come farti fare un panino mentre parli con una voce strana. Non sempre risultano davvero divertenti, ma dato che Andy e Tony hanno sempre avuto il controllo del progetto, le decisioni non le prendevo io. Al limite lo spirito avventuroso di Bob Zmuda e della sua complice, la ex fidanzata di Andy, Lynne Margulies. Grazie a loro abbiamo avuto una documentazione costante di qualcosa di estremamente speciale, tanto che tutti quelli che lavoravano sul set sono stati concordi sul fatto che il backstage fosse la parte più importante del film.
È stata la prima volta in cui ti sei abbandonato tanto a un personaggio, o lo fai usualmente?
In realtà sospetto che tanto io quanto Andy fossimo dei personaggi… Anzi, ho il dubbio che qualcuno abbia interpretato me per tutta la mia vita, ma non so chi sia! Man on the Moon, per me, è stato qualcosa di unico, un livello 'altro', anche psicotico in certi momenti.
Come attore sei spesso il primo artefice dei tuoi film, hai mai pensato di farne anche la regia?
Si, a un certo punto si. Ma c'è chi lo fa di mestiere, e ci si guadagna la vita. Come Chris, che riesce a sviluppare le diverse idee, come un grande ombrello che contiene gli altri elementi. In realtà preferisco avere la libertà di esplorare in maniera anche eccentrica il personaggio. Forse se non recitassi, potrei diventare regista.
E in questo caso?
Il vero autore, e attore, è Andy. Era così impegnato in ciò che faceva che è stato lui a permettermi di realizzare il film. Pensavo a questo durante la lavorazione, che fosse lui a fare il film. E Andy tornerà in vita con questo film.
Nel quale vediamo però anche i tuoi ricordi e la tua vita…
Si, dopo tutto non esistiamo né io né lui.
È stato difficile dominare il suo lato più esuberante e quello più fragile?
Sin dall'inizio di questo percorso avevo sempre pensato che la mia personalità fosse l'elemento più importante. Quando fai certi personaggi - soprattutto come Andy - ti rendi conto che anche tu che li interpreti sei un personaggio. Oggi me ne rendo conto, grazie a questa esperienza e al confronto con Chris. Siamo un insieme di idee, influenzati dal nostro retaggio culturale, dalla nazionalità, passiamo la vita a cercare una identità cui ancorarci, ma qui non c'è nemmeno la barca. Non siamo null'altro che un insieme di idee, combiniamo queste idee e scegliamo un'etichetta da indossare per tutta la vita. Ma non siamo nulla di tutto questo.
Perché avete aspettato quasi 20 anni per mostrarci questo documentario?
L'amara verità è che all'epoca avremmo voluto fare un doc per farlo uscire dopo il film, ma poi qualcuno propose che tutto il materiale ne facesse parte, montato al suo interno. La Universal temeva che tutto quello che riguardasse Andy fosse un rischio. Posso capirlo… L'importante è che adesso ci abbiano permesso di fare questo.
Non hai avuto la tentazione di portare Tony con te a Venezia?
No, non è qui con me. Abbiamo seguito strade diverse. Non ci siamo lasciati in maniera indolore, ma il suo spirito aleggiava comunque.
Cosa ha significato per te Chris Smith in questo progetto?
Chris ha fatto molto di più di una retrospettiva su Andy, sul mio lavoro e sul suo effetto su di me… Ha avuto una influenza speciale sulla mia stessa identità. E nell'intervista ha sentito il percorso spirituale che avevo fatto nel corso del tempo. È stato eccezionale vedere come abbia saputo entrare nel mio lavoro, al di là della mia maschera e delle smorfie che faccio. Tutti i miei film hanno un significato d'altronde. Anche quelli più ridicoli. È stato gratificante che sia andato oltre la superficie.
Un lavoro che è sempre sovversivo e doloroso, quindi?
Ho iniziato a fare questo lavoro perché volevo distruggere Hollywood, per prendere in giro i leader, le persone dall'ego smisurato, convinte di avere tutte le risposte. Volevo prendere in giro i loro film, per tutta la mia vita. Si deve avere un approccio sovversivo alla vita. A maggior ragione nella città delle maschere, dove la maggior parte di noi ne indossa una e si trova in difficoltà quando trova qualcosa di autentico.