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Incontro ravvicinato con i Manetti Bros.

I due alieni del cinema italiano presentano "L'arrivo di Wang"

Manetti Bros.

08.03.2012 - Autore: Marco Triolo
Sono tra i pochi rimasti in Italia a confezionare ancora oggi film di genere, e lo fanno con grande passione e dedizione, da veri nerd della fantascienza e dell’orrore. Sono i Manetti Bros., che abbiamo incontrato in occasione della presentazione del loro ultimo lavoro, “L’arrivo di Wang”. Storia di un’interprete di cinese (Francesca Cuttica) che viene sequestrata dai servizi segreti per interrogare un prigioniero molto speciale: un alieno che ha scelto il mandarino perché “è la lingua più diffusa nel vostro mondo”.

Manetti Bros Intervista L'arrivo di Wang - L'alieno Wang

Come è nata l’idea de “L’arrivo di Wang”?
Marco Manetti: Il progetto è nato dalla collaborazione con la compagnia di effetti speciali Palantir Digital. Simone Silvestri e Vito Picchinenna ne sono i fondatori, e il loro scopo è realizzare in Italia effetti diversi da quelli che normalmente si fanno nel nostro paese. A noi hanno chiesto di girare un corto utilizzando i loro effetti speciali, ma noi gli abbiamo proposto un lungometraggio e poi abbiamo sviluppato una storia.

L’alieno Wang è dunque realizzato totalmente in digitale o ci sono anche trucchi pratici?
Marco: E’ digitale al 100%. Davanti a Francesca c’era seduto un signore cinese, Li Yong, che ha prestato la voce a Wang e ha indossato una tuta blu, grazie alla quale è stato poi interamente cancellato a ricoperto con grafica 3D. Abbiamo imparato la catena di montaggio che c’è anche nei film americani: c’è chi si occupa del design, Maurizio Memoli, che ha lavorato anche in “Avatar” e “King Kong”. Poi c’è il rigger, ovvero chi si incarica di trasformare il modellino di riferimento in un vero burattino, spezzandone le giunture. C’è chi fa la texture della pelle. Il tutto coordinato da Silvestri…

Antonio Manetti: …che è anche il composer

Marco: …cioè quello che prende il burattino e lo mette nell’inquadratura, lo inserisce davanti e dietro agli oggetti, gestisce la luce.

Ora che avete sperimentato i moderni effetti speciali, vorreste riprovarci? Magari con un progetto più complesso…
Marco: In realtà stiamo anche pensando a un sequel di “Wang”. La Palantir ovviamente ci sta spingendo a fare qualcosa di più complesso, ma, anche se pensiamo che gli effetti siano una grande opportunità narrativa, non mi metterei a scrivere una storia pensando solo ad essi.

Antonio: Nonostante abbiamo usato prima di molti le nuove tecnologie, ad esempio il digitale, girare senza vedere quello che dovremmo riprendere ci fa molta paura ancora adesso. Ora abbiamo visto il film finito e gli effetti ci piacciono molto. Non c’è niente che cambierei.

Marco: Noi siamo poco raffinati nell’uso della macchina da presa, ci piace muovere gli attori e poi riprenderli, quindi fare un film con un personaggio che non si vede per noi era contro natura. Per questo ci abbiamo tenuto a metterci una persona vera. Questo nostro stile ha dato moltissime difficoltà in più alla Palantir, ma credo che sia stato un punto a favore del film, perché se la figura in digitale la vedi a camera fissa tendi a sentirne più la finzione, se invece l’inquadratura è un po' mossa sembra più vera.

Manetti Bros Intervista L'arrivo di Wang - I Manetti Bros.

Perché secondo voi la fantascienza non ha mai preso piede in Italia?
Antonio: Credo che sia perché il cinema di genere italiano, che ha prodotto capolavori come i film di Sergio Leone ma era anche un cinema d’imitazione, sia stato forte soprattutto negli anni Sessanta e Settanta, un’epoca in cui la fantascienza in America non si faceva. La sci-fi è rinata con “Guerre stellari”, e a quel punto i nostri generi erano già in calo.

Come vi dividete il lavoro sul set?
Marco: Io e Antonio abbiamo una mente quasi unica, pensiamo alle stesse cose e abbiamo gli stessi gusti. Ciò funziona perfettamente in tutta la fase di preparazione e in quella di montaggio, mentre sul set tutto è più sbrigativo e quindi ci dividiamo i compiti. Io lavoro più con gli attori, Antonio è l’operatore. Una battuta che faccio spesso ai nostri collaboratori è che la troupe ideale è fatta di sordomuti. Anzi, solo muti, perché devono poterci sentire, ma con noi meno si parla quando si fa cinema, meglio è.

Nel film c’è una battuta ricorrente, quando Gaia propone a Wang di portarlo ad Amnesty International per salvaguardare i suoi diritti. Secondo voi, nel caso di un vero contatto con gli alieni, quanti difensori dei diritti umani resterebbero coerenti con le loro posizioni?
Marco: Credo che spesso l'appartenenza a gruppi sociali, politici e culturali sia una sovrastruttura, e che se arrivassero i marziani ci accorgeremmo di chi davvero sia una persona solidale e chi no. Ne uscirebbe l’uomo per quello che è realmente.

Manetti Bros Intervista L'arrivo di Wang - Francesca Cuttica e Ennio Fantastichini

Visto che siamo in tema, voi credete negli extraterrestri e nella loro futura venuta?
Antonio: Io credo che esistano altre forme di vita, ma non intelligenti come noi.

Marco: [Ci mostra una spilla con la faccia di un “grigio” e la scritta “Believe”] Nonostante la spilla, sono molto scettico. Dietro la mia scrivania ho il poster “I want to believe”, che è il mio motto, ma purtroppo ho l’impressione che non ci siano altre forme di vita, e questo mi fa malissimo! Perciò mi tocca inventarle, oppure lasciare che lo facciano altri per poi godermele al cinema.

L’arrivo di Wang”, in uscita il 9 marzo, è distribuito in Italia da Iris Film. Qui potete vedere il trailer.