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In the cut
Un film che parla di sospetto e di torbide relazioni. Un film che promette un incursione nei lati più oscuri degli uomini ma che non è in grado di raccontarli. La regista di "Lezioni di Piano" ha deciso di dare una cocente delusione ai suoi ammiratori.
12.04.2007 - Autore: Giulia Villoresi
Regia di: Jane Campion
Con:Meg Ryan, Mark Ruffalo, Jennifer Jason Leigh, Kevin Bacon
Franny Avery (Meg Ryan) è una giovane insegnante newyorkese che conduce una vita riservata. Le sue giornate trascorrono sempre uguali tra le visite alla sorellastra Pauline e gli incontri con uno dei suoi studenti, Cornelius (Sharieff Pugh) da cui lei si fa aiutare per uno studio sul gergo di strada. Ma un giorno si ritrova testimone di una scena che precede un delitto, e come se non bastasse, uno dei \"pezzi\" del cadavere viene sepolto nel suo giardino. La vita cambia per Franny, che oltre ad essere coinvolta nelle manovre di un misterioso serial killer conosce l\'affascinante detective Maloy che la trascina con sé in una storia di attrazione irresistibile e sospetto. Ed è proprio sul sospetto che si basa l\'evolversi della trama: Franny verrà portata al un punto in cui non potrà fidarsi più di nessuno.
Il premio Oscar Jane Campion ha tratto la sceneggiatura di \"In the cut\" da un romanzo di Susanna Moore, con l\'aiuto della stessa scrittrice. Il risultato è veramente pessimo. La regista di \"Lezioni di Piano\" ha deciso di dare una cocente delusione ai suoi ammiratori, delusione che sembrava preannunciarsi già dall\' l\'incomprensibile \"Holy Smokes\" (2000), scritto in collaborazione con la sorella Anna.
Il film è basato sul nulla e sul nulla si dovrà trovare un giudizio.
La trama non possiede alcun significato se non quello, di per sé scontato, dei fatti. Ma purtroppo non ha nemmeno l\'onestà di una semplice narrazione: immagini semioniriche alludono continuamente ad un qualche significato recondito e una fotografia ancora più retorica non fa altro che confondere lo spettatore con immagini troppo rapide e vicine.
I fatti stessi, d\'altronde, sono poco credibili. La professoressa di lettere che legge con sguardo stupito e meditabondo l\'incipit della Divina Commedia sui cartelli della metropolitana rasenta il ridicolo. I sospettati che non incutono alcun sospetto e gli insospettabili colpevoli dal principio stroncano qualsiasi tipo di tensione. Indizi buttati in mezzo con svogliatezza, figure dall\'aspetto conturbante che non sortiscono nessun effetto.
Il film non è un thriller psicologico, non è un giallo, non è un noir, non è un erotico e non è nemmeno una storia d\'amore. Compaiono soltanto, ammucchiati in una strana poltiglia, una serie di stereotipi di genere come il serial killer, il detective, la classica infanzia travagliata, una storia di sesso dai risvolti pseudo perversi, i lati oscuri dell\'essere umano. In tutto questo Meg Ryan, che sembrava volersi redimere dal suo ruolo di sbarazzina cronica, farebbe meglio a tornare alle sue smorfiette.
Mark Ruffalo che interpreta l\'impassibile detective Maloy è l\'unico attore riuscito insieme a Kevin Bacon nella parte del nevrotico ossessivo.