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Il violino di Haggis
Melodramma potentissimo, rarefatto e splendidamente sottile nel raccontare il dolore della perdita e dell'esperienza del dolore, "Nella valle di Elah" segna la prima sinfonia di Paul Haggis

02.09.2007 - Autore: Adriano Ercolani
Partiamo dal personaggio principale, quello interpretato da uno struggente Tommy Lee Jones: a ben guardarlo, si tratta dell’ennesima riproposizione del vecchio saggio e rotto alla vita, che di fronte ad eventi drammatici si trova a fare i conti con la propria natura ed a mettere n dubbio le proprie certezze. Un ruolo che sarebbe calzato a pennello per l’amico Clint Eastwood, diventato ormai bandiera di un modo di vedere l’America imperniato su un conservatorismo presente ma anche disposto ad indagare le contraddizioni sociali e politiche del paese. E durante lo sciogliersi della vicenda del film è proprio questo che succede, ma si tratta di un processo talmente calibrato a livello narrativo e nell’evolversi delle psicologie di tutte le figure raccontate, che alla fine “In the Valley of Elah” si trasforma in un atto d’accusa, anzi di indagine sincera, su ciò che non va e che inquieta oggi in America.
“In the Valley of Elah ” è il più commovente e riuscito lungometraggio visto all'ultima edizione della Mostra di Venezia. Melodramma potentissimo, rarefatto e splendidamente sottile nel raccontare il dolore della perdita e dell’esperienza del dolore, il film segna il primo vero successo di Paul Haggis, cineasta che oltre ad una certa furbizia e professionalità dimostra con questa sua opera seconda di essere cresciuto enormemente, fino a raggiungere una completezza che ora non può essere sottovalutata.