Il serial killer dei codici

  Dodici anni dopo riecco David Fincher alle prese con un serial killer. Ma se in Seven Fincher e i suoi uomini Pitt e Freeman alla fine riuscivano a prendere l’assassino, qui la faccenda si fa terribilmente più complicata. Del serial killer Zodiac, infatti, pare restare solo l’ombra del suo cappuccio nero nei confusi racconti dei sopravvissuti. Il 16 maggio a Cannes viene presentato il film del regista statunitense alla caccia di un altro blockbuster per rinverdire i successi dello stesso Seven e di Fight Club.

La storia è quella di una serie di omicidi irrisolti che paralizzò la Bay Arena di San Francisco tra i tardi anni ’60 e i primi ’70.

Una classica crime saga col sapore di un’allegoria dell’era dell’Informazione. Protagonista assoluto e invisibile, il più mediatico dei serial killer. Un protagonista che non ha bisogno di un corpo per essere al centro dell’attenzione. Gli bastano i suoi messaggi, i suoi simboli, le sue lettere. Rispetto ai suoi colleghi che fanno parte del girone infernale dei Serial Killer, the Zodiac è stato qualcosa di completamente diverso. Aveva un vero e proprio senso del marketing e sostanzialmente aveva anche un logo.

Sentite David Fincher: “La cosa che ha stupito maggiormente di Zodiac non è stato tanto quello che ha fatto, ma come l’ha raccontato lui stesso. Le sue lettere sono un meraviglioso esempio grafico di questo. Erano incredibilmente affascinanti. Sono il motivo per cui ancora oggi stiamo parlando di questo assassino. Non per tutte le persone uccise”.

C’è Robert DowneyJr. che interpreta il reporter al seguito della storia per il San Francisco Chronicle. Mark Ruffalo nella parte del detective a capo delle indagini. E Jake Gyllenhaal, un vignettista del Chronicle che diventa ossessionato dal caso al punto da scriverne anche un libro, dal quale è stata tratto il film.