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Il ritorno delle blacklist

Vergogna, vergogna, vergogna. Il grido più politico della 75esima edizione degli Academy Awards arriva da Michael Moore.

Oscar

25.03.2003 - Autore: Ludovica Rampoldi
Vergogna, vergogna, vergogna. Il grido più politico della 75esima edizione degli Academy Awards arriva da Michael Moore, premio Oscar per il documentario "Bowling for Colombine", che conclude così il suo speech, fregandosene dei divieti imposti dalla Abc per evitare che il palco del Kodak Teathre diventasse una tribuna politica: "Viviamo in tempi fittizi, in un momento storico in cui c'è un presidente fittizio che ci manda e ci porta in guerra per ragioni fittizie. Se la realtà è fittizia, noi siamo contrari a questa guerra, anche il papa è contro. Bush, sei finito".   Il paffuto Moore è solo una tra le 130 star di Hollywood che hanno aderito alla "Artists United to Win Without War" (http://www.moveon.org/artistswinwithoutwar), organizzazione che si fa portavoce di quei milioni di americani che trovano la guerra all'Iraq illegittima e immorale, e che oppongono la diplomazia ai bombardamenti.   Alla lista degli Artisti Uniti aderiscono tra gli altri Julianne Moore, Dustin Hoffman, Jim Carrey, Ben Affleck, Kirsten Dunst, Salma Hayeck, Ethan Hawke, Kim Basinger, Tea Leoni. Insomma, tutte le star di Hollywood, praticamente. Tutti ribattezzati "Saddam Lovers" dal New York Post, che addirittura incita a boicottare i film di quegli attori o registi "che si oppongono alla liberazione dell'Iraq dall'assassino di massa Saddam e dalla sua banda di stupratori."   E' solo l'inizio, a quanto pare. Sembra che a Hollywood siano ritornate le black list, le liste di proscrizione che in pieno maccartismo condannavano gli artisti all'esilio dal grande schermo. A denunciarlo è Sean Penn, dopo essere stato licenziato da un produttore per via della sua opposizione alla guerra in Iraq: "La libertà di parola è sotto attacco: rischiamo tutti di perdere il lavoro" ha detto Penn, che si è visto appioppare il nomignolo sarcastico di "Bagdad Sean" dopo la sua visita alla capitale irachena lo scorso dicembre.   Che il pericolo di un ritorno agli Anni 50 sia reale, lo si capisce anche dall'agitazione del sindacato attori, messo in allerta dalla nuova ondata di prescrizioni: "anche un solo accenno di blacklist non dovrà essere più tollerato in questo paese", ha detto il portavoce del sindacato in un comunicato.   Nel frattempo anche la stampa conservatrice sta lanciando una feroce crociata contro i pacifisti. In testa a tutti c'è Bill O'Reilly, falco repubblicano fan di Bush, che ha criticato duramente George Clooney, contrario alla politica interventista: "La gente non spende nove dollari per vedere un film di cui è protagonista qualcuno che odiano" ha sentenziato O'Reilly a proposito del doppio flop di Clooney con "Solaris" e "Confessioni di una mente pericolosa".   In questo doppio fuoco incrociato che vede le major e la stampa schierarsi contro chi dice no alla guerra, qualcuno comincia a pagare sulla pelle il costo delle proprie idee politiche. Martin Sheen, tra i più attivi oppositori a Bush, sta subendo dei drastici tagli alla sua parte nella serie tv "West Wing", dopo essere stato tra i promotori della "Marcia virtuale su Washington", una protesta simbolica che ha visto la Casa Bianca inondata da migliaia di e-mail contro l'intervento militare.
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