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Il mestiere delle armi

Ermanno Olmi concorre con un film epico sulla biografia di Giovanni De' Medici

mestiere delle armi

08.05.2001 - Autore: Federico Orlandi
A soli 28 anni Giovanni de’ Medici, nipote di Clemente VII, si è già conquistato la fama di grande condottiero, è rispettato e temuto dai suoi nemici quanto desiderato e amato dalle donne. Non si rende però conto che il suo mondo è al crepuscolo: le nuove armi da fuoco e le astuzie della politica che Macchiavelli andava esaltando in quegli stessi anni aprono la strada a un modo diverso di concepire la guerra.
Così Giovanni si ritrova vittima di decisioni prese alle sue spalle, da alleati che lo tradiscono e poi si pentono come il marchese Gonzaga, rappresentante di un mondo per il quale la vita di un uomo valeva meno di quella di un cavallo.
Per Giovanni la guerra è un mestiere, tanto da fargli dire al sacerdote giunto al suo capezzale per l’Estrema Unzione, che aveva vissuto da soldato con la stessa dedizione con cui avrebbe portato l’abito talare e da fargli vivere l’incontro con la morte come una inevitabile conseguenza della guerra.
Nello scontro presso la fornace dove i Lanzichenecchi hanno nascosto i quattro pezzi d’artiglieria ottenuti grazie al tradimento del duca di Ferrara, finalmente può guardare in volto il comandante nemico. Appena lo scontro inizia, ecco l’amara sorpresa: i tedeschi hanno ottenuto l’artiglieria. Giovanni ordina subito la ritirata, ma il suo destino è ormai segnato. Partono quattro colpi di falconetto, una scheggia dell’ultimo lo colpisce alla gamba. Viene subito trasportato nella casa di Loyso Gonzaga, che chiama al suo capezzale i migliori medici. L’unica soluzione appare subito il taglio dell’arto: Giovanni affronta questo strazio con grande coraggio. L’agonia si conclude dopo quattro giorni...

Il commento
Chi si aspetta scene di battaglia e assalti all’arma bianca rimarrà deluso.
Il film più che essere la biografia di Giovanni De’ Medici è una grande riflessione su un tema mai come ora attuale: il senso di smarrimento che l’uomo prova quando il mondo intorno a lui cambia così in fretta da travolgerlo. I valori che Giovanni coltiva gelosamente sembrano appartenere ad un tempo andato.
Nell’introduzione delle armi da fuoco e nelle trame della politica del tempo Giovanni trova i suoi avversari, che sono in grado di sopraffarlo prima che lui possa rendersi conto della loro esistenza. Federico Gonzaga e Alfonso d’ Este sono dei voltagabbana, dei traditori, ma alla fine loro rimangono in sella e sono forse i veri vincitori, più delle truppe lanzichenecche che marciano verso Roma.
Il paesaggio invernale della Pianura Padana con la nebbia e la neve a farla da padroni così come le buie stanze dei palazzi del potere rendono ancora più evidente il contrasto tra le figure che li popolano e Giovanni, gagliardo lottatore contro tutto e tutti.
La sua altezza d’animo fa apparire la sua morte quasi come un martirio, unica via d’uscita per l’uomo che non intende arrendersi alla perdita del suo mondo.
Mentre i medici stanno per amputargli la gamba, Giovanni si accorge di essere circondato da troppa gente: il comandante al cui solo nome i nemici tremavano non accetta di concedere la soddisfazione di assistere alla sua sconfitta a chi l’aveva causata pugnalandolo alle spalle, ed urla a tutti di uscire, poi imbraccia il candelabro ed ordina al medico di procedere.
Gli ultimi giorni della sua vita si consumano nel ricordo un po’ scontato della moglie, del figlio e dell’amante e fanno perdere alla scena il pathos e la tensione accumulati sino a quel momento.

In sintesi
Eccezionale affresco storico sul primo Rinascimento, visto più nell’evoluzione politica e sociale che nella ricostruzione ambientale. La vicenda di Giovanni pare essere più il pretesto che il fine ultimo della narrazione.

Il giudizio
Grande caratterizzazione dei personaggi, pecca forse in eccessiva lentezza nelle scene di guerra e di un abuso della voce narrante esterna.
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