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I settant'anni di John Carpenter in sei film imperdibili

Ecco i veri must della carriera del più grande regista fanta-horror americano vivente, che compie oggi settant'anni

The Ward - John Carpenter

16.01.2018 - Autore: Marco Triolo (Nexta)
Settant'anni fa nasceva a Carthage, nello stato di New York, uno dei più grandi registi americani del Ventesimo Secolo. Sono affermazioni da fare alla leggera, ma nel caso di John Carpenter è davvero difficile essere smentiti. In oltre quarant'anni di carriera, Carpenter ha lasciato un segno nel cinema fantastico americano come pochissimi altri: nella sua filmografia, quelli che non sono capolavori sono comunque dei cult. Carpenter è riuscito a intrattenerci, spaventarci ed esaltarci con una produzione di genere nella quale ha innestato la sua visione d'autore unica, rompendo ogni barriera tra cinema popolare e cinema “alto”. 
 
Per festeggiarlo, abbiamo scelto di elencare i must assoluti della sua carriera. Ecco sei film che dovreste assolutamente vedere per capire l'impatto di Carpenter nella cultura popolare degli ultimi quarant'anni. (Perché sei? Noi ci abbiamo provato a sceglierne cinque, ma era impossibile tagliare uno qualsiasi di questi!)

 
Il capostipite del genere slasher, il film che ha stabilito tutte le regole del filone (l'assassino mascherato, la ricorrenza che lo scatena, i teenager uccisi mentre fanno sesso, la final girl). Ancora oggi, Halloween resta un capolavoro horror irraggiungibile, e Michael Myers uno dei mostri più iconici del genere. Per non parlare di Jamie Lee Curtis, eroina tutta d'un pezzo capace di tenere testa al serial killer.

 
Non si tratta della prima collaborazione tra Carpenter e Kurt Russell (si erano conosciuti girando Elvis, il re del rock), ma di certo è quella che ha definito il loro sodalizio. Carpenter sapeva perfettamente come utilizzare Russell: trasformandolo in un novello Clint Eastwood (quello dei film di Sergio Leone di cui lui andava matto), un anti-eroe silenzioso e cinico, con un passato nebuloso, che finiva travolto in disavventure controvoglia e alla fine ne usciva a testa alta. Fuga da New York è tutto questo, più un immaginario post-apocalittico tra il western e il punk, iconico in ogni singolo dettaglio dall'inizio alla fine. Pura magia Carpenter.

 
Un film sfortunatissimo perché uscì poco prima di E.T., in un'epoca in cui gli americani uscivano dai paranoici anni '70 e volevano sentirsi bene in sala. La Cosa (remake de La cosa da un altro mondo) faceva l'esatto opposto, mettendo in scena un alieno mutaforma aggressivo e terrificante, incarnazione stessa della paranoia. Un “Dieci piccoli indiani” in salsa horror, dominato dalla performance misurata e stoica di Kurt Russell, dalle musiche essenziali di Ennio Morricone e dagli incredibili effetti speciali di Rob Bottin, apice assoluto dei trucchi pratici anni '80. Un film sfortunato, vero, ma anche un horror fantascientifico all'altezza di Alien.

 
Il film più mainstream di Carpenter e anche uno dei più sfortunati in termini di incassi. Va detto che, di tutte le collaborazioni Carpenter-Russell, solo Fuga da New York ebbe successo in sala. Ma ognuna di esse divenne un cult in seguito, fino alla rivalutazione totale. Grosso guaio a Chinatown è il più bizzarro del pacchetto, un'avventura fantastica che rende omaggio a tutto il cinema di arti marziali, con un eroe tonto che si fa parodia del whitewashing prima ancora che questo termine entrasse in voga. Sotto le mentite spoglie dell'intrattenimento puro e semplice si agita un film d'autore con scelte audaci sia in termini di struttura che di messa in scena. E infatti non fu capito dal pubblico, anche se ebbe un'abbondante seconda vita in home video e televisione, tanto che oggi è quasi impossibile immaginarne il fallimento.

 
Carpenter ha sempre detto che i suoi film sono tutti western, e ciò è particolarmente evidente in Essi vivono, dove un eroe senza passato, vagabondo e indurito dalla sfortuna (il wrestler Roddy Piper) arriva in città per fare piazza pulita dei cattivi che hanno assoggettato la popolazione. Come in Mezzogiorno di fuoco, nessuno gli darà retta fino alla fine (tranne un altro reietto, il grande Keith David, che verrà convinto a suon di legnate nella scazzottata più leggendaria della storia del cinema). Un film politico che attacca lo yuppismo e la società dei consumi, alieni avidi che ci hanno invasi di nascosto e ci impongono la loro legge senza pietà.

 
Se state cercando un grande adattamento di Stephen King, magari fareste meglio a dare un'occhiata a Il seme della follia. Che non è un adattamento di Stephen King (Carpenter lo adattò solo in Christine), ma lo sembra proprio. Perché prende l'immaginario dello scrittore del Maine e lo trasporta al cinema facendone allo stesso tempo una sorta di parodia meta-cinematografica e meta-letteraria, in cui lo scrittore horror di maggior successo di sempre (che si chiama, guarda caso, Sutter Cane) sparisce senza lasciare traccia. E un agente assicurativo (un gigantesco Sam Neill) viene mandato a cercarlo nella sua cittadina natale, che presto si trasforma in un incubo in terra. Nel finale si entra di filato in territorio Lovecraft, con una delle migliori versioni cinematografiche dei suoi Grandi Antichi. Roba da pelle d'oca, un capolavoro che va riscoperto e amato dal primo all'ultimo fotogramma.