NOTIZIE

I Coen tornano al capolavoro

Con "No Country for Old Men" Joel ed Ethan Coen tornano a muoversi verso i livelli filmici del capolavoro: il loro 'noir di confine' è una sintesi assolutamente sorprendente del loro miglior cinema.

No Country for Old Men

01.06.2007 - Autore: Adriano Ercolani
Che “No Country for Old Men” sarebbe stato un film fondamentale nella recente – ed a tratti incerta – filmografia di Joel ed Ethan Coen lo si sapeva già da tempo. Scommettiamo però che in pochi si aspettavano un’opera simile, che può a buon diritto essere già annoverata tra le migliori mai realizzate dai fratelli di Minneapolis.

La materia per andare sul sicuro era a portata di mano, e cioè il feroce romanzo di Cormack McCarthy, che ha permesso loro di tornare agli intrighi noir ed alle atmosfere rarefatte del cinema che meglio sanno padroneggiare; ed infatti in questo film c’è molto del passato glorioso dei Coen: si parte ovviamente da “Blood Simple” (id., 1984), omaggiato soprattutto nel finale con alcune straordinarie inquadrature in cui la fotografia di Roger Deakins – a nostro avviso il miglior direttore della fotografia vivente – tende al chiaroscuro contrastato che era lo stilema visivo principale del loro folgorante esordio. Ma “No Country for Old Men” si presenta come un sunto di molto del cinema degli autori: vi possiamo trovare in filigrana lo humour nero e vagamente nonsense delle loro commedie – ma anche di un gioiello noir come “Fargo” (id., 1996) -, alcune storiche trovate di regia che rimandano ad esempio a “Barton Fink” (id., 1991), oppure gags riprese ed attualizzate da “Arizona Junior” (id., 1987).

Ma se solo questo non bastasse, rimane comunque il fatto che questo lungometraggio è praticamente perfetto sia nella semplice, fondamentale miscela di scrittura cinematografica e messa in scena, sia come veicolo per continuare ad espletare la poetica cinematografica dei Coen, i quali tornato dopo anni a confrontarsi con lo spazio aperto, con i paesaggi sconfinati del deserto a confine con il Messico, e ne tirano fuori un ritratto stilizzato e tagliente dell’ambiente che descrivono. 

La sceneggiatura del film ricalca in maniera piuttosto fedele l’anima, il tono e la struttura del romanzo, e questo è da solo un atto di grande intelligenza: perché stravolgere un testo che da solo funziona pienamente. Dal canto loro i Coen vi aggiungono una regia che torna ad allontanarsi dal virtuosismo vagamente fine a se steso degli ultimi anni, per costruire ritmo e scene perfettamente cadenzate secondo la loro personale idea: all’interno di questo mosaico asciutto ma sempre elegante, vengono piazzate almeno tre o quattro scene di superba maestria, di sapiente dosaggio della suspence e del tempo filmico. La scelta del cast è poi praticamente inattaccabile: se Tommy Lee Jones e la sorpresa Josh Brolin sono magnificamente funzionali ai rispettivi personaggi, a troneggiare è un Javier Bardem che si candida di diritto ad essere tra i favoriti per la Palma d’Oro come miglior attore.  

Con “No Country for Old Men” Joel ed Ethan Coen tornano a muoversi verso i livelli filmici del capolavoro: il loro “noir di confine” è una sintesi assolutamente sorprendente del loro miglior cinema, espresso però senza fronzoli e con la lucidità necessaria per esprimere una poetica che, a livello squisitamente autoriale, nel panorama americano degli ultimi trent’anni non ha eguali.