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I 40 anni di Alien, 10 cose che rendono unico il capolavoro di Ridley Scott

Il 25 maggio 1979 usciva in USA il seminale film di fantascienza con Sigourney Weaver. Ecco perché ancora oggi è inimitabile 

Alien

24.05.2019 - Autore: Marco Triolo
Il 25 maggio 1979 fu il giorno in cui nacque la fantascienza cinematografica moderna. Fu quello il giorno in cui Alien uscì per la prima volta sul territorio americano, in un numero limitato di sale. Sono passati quarant'anni. Lo ripetiamo ogni volta che trattiamo di un anniversario importante, ma è sempre verissimo quando si parla di classici: sembra impossibile che sia passato così tanto tempo. Alien è certamente il prodotto di un'altra epoca, pre-effetti digitali. Ma per il resto è un film potente e inquietante oggi come allora.
 
Non solo ha lanciato la carriera di Ridley Scott, al suo secondo film dopo I duellanti. Ma ha trasformato Sigourney Weaver in una star, creando un personaggio che sarebbe rimasto scolpito nell'immaginario collettivo per decenni a venire, Ellen Ripley. E un mostro che non avrebbe mai più abbandonato i nostri incubi, dono di H.R. Giger.
 
In questo importante anniversario, abbiamo deciso di elencare dieci cose che rendono Alien unico. Dieci ragioni per cui, ancora oggi, è uno dei più grandi film di fantascienza mai realizzati.



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Ha fuso horror e fantascienza come mai prima. Horror e fantascienza sono sempre andati a braccetto, sin da Frankenstein, sin da La guerra dei mondi. Sin dal cinema di genere americano anni '50, con i suoi pianeti pieni di minacce (Il pianeta proibito), i suoi esperimenti scientifici sfuggiti al controllo (L'esperimento del Dottor K), i suoi alieni minacciosi e imperscrutabili (La cosa da un altro mondo). Ma nulla poteva preparare il pubblico ad Alien, un assalto ai sensi in cui una tensione intollerabile si fonde a un gusto per gli effetti gore che scioccò gli spettatori. E che ancora adesso è impareggiabile.
 
Ha creato un mostro. Dobbiamo costruire una statua a H.R. Giger, l'artista svizzero che disegnò lo Xenomorfo e i vari set e creature del film. Ma anche a Dan O'Bannon (sceneggiatore) e Ridley Scott, che capirono quanto l'apporto dei design di Giger fosse fondamentale. Furono loro a convincere 20th Century Fox a ingaggiare l'artista. Scott si recò personalmente a Zurigo per incontrare Giger e convincerlo a lavorare al film. E poi non possiamo non citare Carlo Rambaldi, l'artista italiano degli effetti pratici. Creatore di E.T. e degli alieni di Incontri ravvicinati del terzo tipo, Rambaldi costruì la testa dello Xenomorfo usata nel film, con i suoi meccanismi per far scattare la celebre lingua dentata della creatura. In ultimo, tocca citare anche Bolaji Badejo, l'attore a cui toccò indossare il costume e interpretare l'alieno sullo schermo.

Il futuro è sporco. Lo scenografo Roger Christian e il team di artisti concettuali, tra cui Ron Cobb, lavorarono duramente per dare una personalità unica all'astronave Nostromo. Volevano farci dimenticare la pulizia tipica dei set della fantascienza classica (come 2001) e orientarsi maggiormente verso il feeling “usato” di Star Wars. D'altra parte, la Nostromo è un cargo e il suo equipaggio è composto da camionisti dello spazio, non scienziati o astronauti. Tutto doveva avere un sapore di working class, di tecnologia vecchia e consunta. Da allora, nessun regista di fantascienza avrebbe mai dimenticato questa lezione.
 
Nello spazio nessuno può sentirti urlare. L'uso degli effetti sonori e dei silenzi è uno dei tratti più distintivi di Alien. C'è un realismo di fondo nel modo in cui lo spazio viene rappresentato: i suoi non possono diffondersi nel vuoto e questo Ridley Scott lo sa bene e lo sfrutta. A partire dalla frase di lancio più celebre di tutto il cinema horror: “Nello spazio nessuno può sentirti urlare”. Ma i silenzi non sono solo esterni: sono anche quelli interni alla Nostromo. I silenzi delle attese dietro un angolo, uniti ai suoni frastornanti degli allarmi o ai sibili della tecnologia e del mostro.

La final girl definitiva. Nell'horror, l'idea della final girl si stava già diffondendo alla fine degli anni '70. Ma Ellen Ripley è un passo avanti a tutte. Non è una vittima passiva che solo negli ultimi minuti si trasforma in eroina. È, sin dall'inizio, una leader perfettamente consapevole di sé e dei rischi che l'equipaggio sta correndo. L'unica voce sensata in un coro di opinioni sbagliate. È una persona, prima che una donna, mossa dalla sua scala di valori e non da un set di stereotipi femminili. È forte senza rinunciare alla sua sensualità. Poche donne eroiche del grande schermo lo sono state, e certamente non negli anni '70.
 
In fondo è un giallo. Da subito, da quando Ash (il grande Ian Holm) sembra più che mai determinato a contravvenire alle regole di sicurezza nella gestione delle minacce biologiche, si capisce che c'è qualcosa che non va. In Alien la vera minaccia non è l'alieno, ma l'umano. La Compagnia (ovvero la Weyland-Yutani) cospira contro l'equipaggio per preservare una potenziale arma biologica. E Ash, l'androide, ne rappresenta il braccio armato all'interno dell'astronave. Se vogliamo, in fondo Alien è un giallo e il colpevole... è il maggiordomo.

 
C'è un gatto. L'idea geniale del film è la presenza del gatto Jones tra l'equipaggio. Jones mescola le carte, confonde lo spettatore nei momenti di tensione, quando salta fuori dagli angoli bui. In tempi di falsi jump-scare, quei momenti dei film horror in cui si ricorre a un suono extra-diegetico per evocare il terrore quando sullo schermo non c'è, Jones resta un'arma segreta a cui pochi sono arrivati.
 
Lo Space Jockey. Oggi, purtroppo, il mistero dello Space Jockey, il gigantesco scheletro che l'equipaggio della Nostromo trova nel relitto dell'astronave aliena, è stato risolto nei prequel di Ridley Scott, Prometheus e Alien: Covenant. Ma allora era un tocco fantastico, per come evocava l'esistenza di un universo vastissimo e pieno di pericoli. Pieno di creature antiche e spaventose, le cui azioni, apparentemente incomprensibili, potevano avere ripercussioni anche su noi umani. L'incontro con lo Space Jockey è la magia stessa del cinema.

 
Le musiche. Metà dell'atmosfera di Alien la fa la colonna sonora di Jerry Goldsmith. I suoi temi eterei fanno venire la pelle d'oca e ci accompagnano in questa esplorazione dell'ignoto sia dentro che fuori di noi.
 
Le scenografie. Abbiamo già parlato dei set della Nostromo, ma vale la pena di fare un discorso più generale sulle scenografie. Una squadra enorme ha lavorato nel design e nella costruzione dei set, a partire da suggestioni e disegni di Giger. L'architettura biomeccanica dell'astronave aliena rimanda immediatamente e senza alcun dubbio ad Alien, tanto quanto lo Xenomorfo, il Facehugger e le uova. I set della Nostromo, poi, costruiti a grandezza naturale agli Shepperton Studios di Londra, sono un testamento alla perfezione che può essere raggiunta con la giusta squadra, anche con un budget ridotto. I corridoi della Nostromo dovevano essere realmente attraversati dagli attori per arrivare nel punto giusto e girare le scene. E questo, per un attore, deve essere oro: potersi calare nello stato mentale del proprio personaggio non attraverso una ricerca interiore, ma semplicemente guardandosi intorno e capendo di trovarsi dentro un'astronave. Dentro la fantascienza.