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Halloween: Orrore come ribaltamento

Hallowen si è trasformata col passare degli anni e delle generazioni in una celebrazione di tutti i maggiori stilemi che rappresentano l'orrore, e di conseguenza il cinema dell'orrore. Scopriamo i motivi

Halloween (1978)

17.10.2006 - Autore: Adriano Ercolani


A ben guardare, non poteva essere altrimenti che la festa di Hallowen si trasformasse col passare degli anni e delle generazioni in una celebrazione di tutti i maggiori stilemi che rappresentano l’orrore, e di conseguenza il cinema dell’orrore. Se analizziamo bene infatti il principio fondante, che si trova alla base di Halloween, è la nemesi: negazione dell’ordine costituito nella sua logicità, della razionalità che regge il reale, in poche parole della vita stessa. E non sono forse questi anche gli argomenti principali, i sottotesti di qualsiasi trama orrorifica che si rispetti? In una prospettiva molto allargata del discorso, il ribaltamento delle basi su cui si poggia l’esistenza dell’essere umano genera uno scarto concettuale che porta come conseguenza impossibile da sopprimere la paura dell’ignoto, inteso anche come “altro” o “non-ente”.

Da sempre il cinema horror ha sfruttato tali considerazioni come base per esprimere la sua poetica più viscerale. Allo stesso modo la festa di Halloween è stata pian piano fagocitata dalla “Settima  Arte” come massima ambientazione per una serie di pellicole praticamente interminabile.

Tra molti esempi che sinceramente non meritano di essere neppure menzionati, vale invece la pena di ricordare almeno due lungometraggi che hanno adoperato suddetta festa come simbolo preciso e coerentemente contestualizzato dentro la narrazione: il primo non poteva che essere proprio quell’ “Halloween - La notte delle streghe” (Halloween, 1978) di John Carpenter, che proprio nella notte del “dolcetto o scherzetto” scatena la furia omicida ed irrazionale del suo Michael Myers. Quale negazione più totale di quella generata da un male radicalmente fine a se stesso? In tempi più recenti invece è stato il cult “Donnie Darko” (id., 2001) a riproporre la festa come fulcro impazzito ed inquietante di un vortice spazio-temporale in grado di azzerare discorsi fondamentali come libertà e libero arbitrio.

Vi è anche però un autore che, interpretando Halloween come festa non solo dello spaventoso, ma magari semplicemente del grottesco e del “diverso”, l’ha celebrata come momento in cui viene concessa visibilità e libertà d’espressione a tutti i “freaks” di questo (o dell’altro) mondo. Il regista in questione è ovviamente il genio dark di Tim Burton, che con opere come lo straordinario “Nightmanre Before Christmas” (id., 1994) co-diretto con Henry Selick, ha inventato addirittura una Halloweentown ribaltandone nuovamente le coordinate che tutti conosciamo: è nell’essere una persona un po’ stramba (il classico weird) che risiede la vera normalità, mentre l’orrore sta nella routine piatta ed avvilente della vita comune.

Halloween dunque come negazione e come ribaltamento dello status-quo. Il cinema fantastico che ha seguito tale indicazione e che ha saputo sfruttarne in pieno le implicazioni sociologiche ed allegoriche ha anche saputo tirar fuori dal proprio cilindro vere e proprie perle dell’horror contemporaneo.