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Gianni Amelio e il suo Festival per tutti

Il trentesimo Torino Film Festival chiude sotto una pioggia di applausi. La parola al direttore

Torino Film Festival 2012

03.12.2012 - Autore: Pierpaolo Festa
I vincitori di Torino 30

Gli inglesi userebbero la parola Friendly, descriverebbero così l'atmosfera del Torino Film Festival, giunto quest'anno alla sua trentesima edizione, sotto la quarta (e ultima) direzione consecutiva del regista Gianni Amelio. “E' stata una scommessa vinta – ci racconta Amelio – In questi anni ho cercato di dare al Festival la possibilità di ospitare cose diverse: Torino ha aperto le porte al genere. Quei film di genere che prima erano totalmente banditi”.

Ed effettivamente in quest'ultima edizione si sono moltiplicati i titoli horror: dal cannibalesco The Shopping Tour (Russia, girato alla maniera di Paranormal Activity) agli americani V/H/S e The Lords of Salem, il nuovo incubo di Rob Zombie che ritrova il suo tocco parlando di streghe e lasciandosi alle spalle gli stanchi remake di Halloween: “Si tratta di un genere estremamente popolare e molto gradito dai giovani – continua Amelio -  Ha veicolato il pubblico anche verso le opere difficili. Questo significa che i film del Concorso hanno comunque beneficiato delle nostre sezioni collaterali”.

I numeri di Torino parlano chiaro con un record di presenze del pubblico pagante pari al +16,25% rispetto allo scorso anno. Un risultato eccellente dovuto proprio al fatto che il Festival non si concentra su tappeti rossi e glamour, a Torino c'è il cinema e la città lo accoglie nel migliore dei modi e con prezzi ragionevoli. In pole position rimane la qualità dei film scelti, non necessariamente titoli di grido, ma tutti film di qualità.

Amelio rivolgendosi a noi parla anche del suo essere giornalista cinematografico: “Non scrivo più regolarmente, ma almeno un pezzo al mese lo pubblico. Collaboro con varie riviste: devo scrivere un articolo su un'attrice degli anni Trenta che Fellini ha scoperto in Otto e mezzo. Dovrò cominciare a documentarmi presto”. Nel suo cinema Amelio ha spesso intrapreso viaggi di indagine facendo luce su pagine oscure di storia e sollevando quesiti scomodi. Quanto dunque un regista deve essere anche giornalista? “Bisogna esserlo ma in chiave molto diversa. Il giornalista deve informare soprattutto. Il regista deve informare se stesso, formare se stesso e con gli elementi che ha in mano deve emozionare. Al giornalista non è chiesto di emozionare il lettore. Il regista, invece, se non emoziona vuol dire che non fa bene il suo mestiere. Sono due cose che si possono completare, ma non è che facendo solo denuncia sociale, un regista automaticamente fa un bel film. Un giornalista se fa un'inchiesta molto bene informata, ha fatto un grande lavoro”.

A quel punto gli ricordiamo il monologo finale del suo film più recente, Il primo uomo, in cui ha dovuto trovare le parole per esprimere il pensiero di Albert Camus: “E' stato difficile. Ci sono arrivato attraverso altri mezzi. Ho dovuto riflettere molto. Su di me”.
 

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