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Fragile

Fuori concorso, arriva a Venezia il nuovo film di Jaume Balaguerò, regista già noto per Darkness, con un horror da molti atteso e da altrettanti criticato

fragile

19.05.2009 - Autore: Giulia Villoresi
Fragile, Spagna 2004
Regia di Jaume Balaguerò
con Elena Anaya, Richard Roxburgh, Calista Flockhart

La piccola, elfica Calista Flockhart, meglio nota come Ally McBeal, meglio ancora come Moglie di Harrison Ford, è la protagonista dell’opera terza di Jaume Balaguerò, 36 anni, enfant prodige del cinema spagnolo. L’atmosfera alla Harry James sembra essere l’architrave del nuovo horror iberico a medio budget, che si trasferisce spiritualmente ad Hollywood, recita in inglese e non disdegna la location di brughiera. Molta nebbia, intonaci scrostati, un mistero. Questa la pista intrapresa da Balaguerò, al pari del collega e connazionale Amenabar.

Nell’isola di Mann, un vecchio ospedale pediatrico deve essere demolito. I bambini ricoverati saranno trasferiti e l’infermiera Amy (Calista Flockhart) dovrà assisterli durante l’evacuazione. Ma nell’ospedale succede qualcosa. Le ossa dei bimbi cominciano a spezzarsi misteriosamente, le pareti vibrano, gli ascensori impazziscono, si mormora di una 'ragazza meccanica' di nome Charlotte. Si mormora che Charlotte non voglia lasciarli andare.

Primi tre minuti folgoranti. All’anteprima stampa del Festival tutto tace di fronte al bambino che si sveglia nel mezzo della notte con la gamba spezzata in due. Tuoni, folgori, sguardi d’intesa tra medico e infermiera, si presagisce il paranormale, ci si prepara ad aver paura, il film entra in medias res con una certa eleganza.

Ma ecco che dopo la prima mezzora si compie l’irreparabile. Iniziano i botti all’improvviso, le vocine sataniche, il sangue, le grida infantili echeggiano a più non posso, è un continuo ripararsi i timpani e poi la solita, eterna, intramontabile poetica della notte buia e tempestosa. Verso la fine poi non c’è verso di finire. Il regista prolunga l’agonia con un paio di ipotesi parapsicologiche e lancinanti stoccate di retorica. La sala, ormai esausta, trascorre gli ultimi cinque minuti ridendo ad ogni fotogramma.

 

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