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Fabbricante di Festival

Ha inseguito la sua passione per il cinema attraverso i festival più prestigiosi del panorama nazionale ed internazionale. E così dopo Pesaro, Locarno e Rotterdam Marco Müller si appresta a celebrare il suo quarto ed ultimo (forse) anno a Venezia.

Marco Muller

27.08.2007 - Autore: Stefania Seghetti
Il cinema è per lui libertà e puro piacere dell’invenzione.
Da quattro anni Direttore della Mostra internazionale di arte cinematografica di Venezia, forse la sua ultima edizione questa 64ma – anche se c’è già chi propone di cambiare lo statuto del festival per permettergli di continuare la sua opera di “fabbricante” – Marco Müller è un intellettuale fine e competente che ha saputo dare a Venezia, nei suoi anni di direzione, una identità  forte ed autorevole. Un festival, quello di Müller che guarda alla cultura ma allo stesso tempo non sottovaluta il potere del mercato e dell’industria cinematografica che un certo cinema è capace ancora di far dialogare ed armonizzare.  Del resto lui, che viene definito un “fabbricatore di festival”, questa dote nel coniugare qualità e successo l’ha nutrita con cura in anni e anni di impegno e lavoro spesi a seguire, progettare, pensare festival. Un “fabbricatore”, appunto, che pezzo dopo pezzo ha contribuito a portare fasto a molti tra i più importanti eventi festivalieri nazionali ed internazionali. Locarno, Pesaro, Rotterdam, ogni volta un segno distintivo e un segnale forte di ricerca sia nei criteri di programmazione che nella scelta delle retrospettive. Ed oggi, alla soglia del suo quarto anno al Lido, c’è chi pensa che sarebbe davvero un grave peccato il dover fare a meno di questa perizia ed attenzione costruita attraverso la continuità di un lavoro appassionato e appassionante.

E Müller – generazione 1953, studi di orientalismo e antropologia prima del passaggio al cinema – forse lo sa bene quanto valga questo patrimonio di esperienza e di lavoro accumulato negli anni della sua direzione artistica, quando afferma con grazia in un’intervista rilasciata al Venerdì di Repubblica in merito al suo ultimo probabile mandato: “E però adesso non importa questo, vero?”. Già , perché per lui è il cinema che conta davvero e l’immagine che di se stesso sa dare al pubblico attraverso la “regia”di un direttore attento che orchestra le sue scelte filmiche come le diverse note che compongono uno spartito musicale.
Il cinema deve far muovere” – dichiara ancora lui – deve dare fame di mondo”  e perciò nella programmazione di Venezia le opere scelte lo sono state per la loro capacità di sollevare lo spettatore, di farlo arrivare dove all’inizio non sospettava.  Perché “il cinema non ha bandiere – conclude nell’intervista lui - se non quelle della bellezza e del piacere dell’invenzione”. 

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