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Essere un mito

Impossibile restringere in poche righe la carriera e la personalità di Jack Nicholson, interprete immenso, oseremmo dire leggendario, del cinema contemporaneo

Jack Nicholson

31.01.2008 - Autore: Adriano Ercolani
Con i miei occhiali indosso sono Jack Nicholson. Senza, sono un settantenne ingrassato”.

Basterebbe forse soltanto questa frase per delineare con lucidità una delle figure più importanti della storia del cinema contemporaneo, l’attore che più di ogni altro ha segnato e fatto suo l’immaginario cinematografico mondiale. Nessuno infatti come Jack è stato capace di essere allo steso tempo prima icona di un cinema che si stava rinnovando sia nella forma estetica che nei contenuti, e successivamente divo perfettamente inserito dentro un sistema industriale rinnovato che lo ha eletto figura principale dell’Olimpo hollywoodiano. Chi infatti più di Jack Nicholson rappresenta lo sfarzo, la genialità ed anche le contraddizioni della Hollywood degli ultimi quarant’anni? E “la Mecca del cinema” lo ha giustamente premiato: tre premi Oscar su dodici nomination, sei Golden Globes ed altre undici candidature.

Ma la frase con cui abbiamo iniziato questo articolo rappresenta anche l’enorme schiettezza di questo istrione, coraggioso al punto di mostrare nel suo ultimo “Non è mai troppo tardi” (The Bucket List, 2007) tutto il tempo che è passato. Vicino ai 72 anni, Nicholson ha osato mostrare al suo pubblico un corpo ormai appesantito, un volto segnato dall’età e dagli acciacchi di una vita sempre vissuta al massimo.

A lanciare Nicholson come simbolo della controcultura che in quel periodo stava invadendo e ribaltando il sistema industriale hollywoodiano è stato senza dubbio “Easy Rider” (id., 1969), seguito l’anno successivo dal capolavoro “Cinque pezzi facili” (Five Easy Pieces, 1970). I primi anni ’70 hanno portato altri capolavori indimenticabili come “L’ultima corvée” (The Last Detail, 1973) e “Chinatown” (id., 1974), fino ad arrivare al ruolo di Randall Patrick McMurphy in “Qualcuno volò sul nido del cuculo” (One Flew Over the Cuckoo’s Nest, 1975), in poche parole una delle interpretazioni più grandi della storia del cinema.

Ma il ruolo per cui Nicholson è entrato di diritto nella sfera del mito è quello di Jack Torrance in “Shining” (id., 1980) di Stanley Kubrick, una delle performances attoriali più istrioniche e stordenti a memoria d’uomo. Allo stesso modo, anche quella di Jack Napier/Joker in “Batman” (id., 1989) di Tim Burton segna la capacità che Nicholson ha avuto più di ogni altro attore di dare volto e ghigno alla follia umana.
Negli ultimi venti anni il grande caratterista si è concesso molto meno alla machina da presa, ma a questa parsimonia hanno sopperito una serie di prove da antologia: pensiamo ad esempio al piccolo ma tagliente ruolo in “Codice d’onore” (A Few Good Men, 1992), al divertito “Qualcosa è cambiato” (As Good As It Gets, 1997), al doloroso “La promessa” (The Pledge, 2001) oppure al recentissimo “The Departed” (id., 2006), dove è stato diretto per la prima volta da un altro maestro di cinema come Martin Scorsese, ripagandolo con un’altra prova maiuscola.

Cos’altro aggiungere su Jack Nicholson? Impossibile restringere in poche righe la carriera e la personalità di questo interprete immenso, oseremmo dire leggendario. Per capire chi e cos’è Jack Nicholson basta a nostro avviso vedere uno qualunque dei suoi film, e capirete immediatamente cosa significa essere un mito.