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Enterprise: foto di gruppo con orchestra

Pur offrendo un contributo contenuto e al di sotto delle sue potenzialità, Michael Giacchino guadagna posto nella blasonata tradizione cinemusicale di Star Trek.

Star trek - colonna sonora

06.05.2009 - Autore: Giuliano Tomassacci
E’ una lunga e onorata tradizione cinemusicale quella in cui va a prendere posto Michael Giacchino con il suo commento all’ultimo film di Star Trek. Chiamato ancora una volta a supportare le immagini del sodale J.J.Abrams dopo i successi di Alias, Lost e Mission: Impossible III, con la sua padronanza del miglior linguaggio orchestrale necessario allo scopo e una carriera già ricca di plausi – nonché attraversata da un’evidente propensione per la citazione – Giacchino ha certo presentato i requisiti minimi per affiliarsi ad un héritage musicale che vanta pochi omologhi e fa il paio con quello intitolato a James Bond.

Fu Alexander Courage, compositore ma soprattutto instancabile orchestratore hollywoodiano scomparso lo scorso anno, ad aprire le danze vergando le note della sigla televisiva: una rapida, ottimistica fanfara subito variata in un arrangiamento dal sapore esotico spiccatamente aderente ai gusti pop del tempo. Un adattamento al costume anni ’60 che però nulla aveva a che fare con facili piaggerie nei confronti del pubblico: l’impeccabile squadra di compositori assoldati per musicare gli episodi settimanali – tra i quali spiccavano nomi come Fred Steiner, Gerald Fried e Jerry Fielding - costruirono al contrario un linguaggio sinfonico capace di raffinatezze descrittive allora non comuni per lo spettacolo catodico, impostesi subito come cifra musicale della saga. Il vero nume tutelare della sinfonia ‘trekkiana’ sarebbe però arrivato solo nel 1979, in occasione della prima diluizione cinematografica, Star Trek – Il film, di Robert Wise, con l’approdo di Jerry Goldsmith all’universo dell’Enteprise.

Inizialmente preso in considerazione dal creatore della saga Gene Roddenberry per la sigla del seriale, Goldsmith si appropria del film e dello spirito del telefilm, non solo offrendo scampoli del tema di Courage ma stendendone uno nuovo istantaneamente proiettato nella storia del genere: ancora una fanfara, stavolta fragorosamente e indiscutibilmente virata all’epica di frontiera, equipaggiata di tutta la guerriera baldanza del compianto compositore losangelino e pronta, senza modifiche significative, ad accompagnare la sigla della nuove stagioni licenziate nel 1987 con The Next Generation
Ma tutto lo score è un catalogo di inventiva melodica e audacia strumentale: dal blaster beam – strumento anomalo appositamente dedicato all’intelligenza ‘aliena’ V’Ger – al selvaggio motivo coniato per i Klingon.

Vi avrebbe fatto riferimento un giovane James Horner, incaricato di provvedere allo scoring del secondo e terzo episodio su grande schermo: L’ira di Kahn e Alla ricerca di Spock. Il suo ricco, espansivo cimento, in particolare per il secondo capitolo diretto da Nicholas Meyer, avrebbe presto scalato la classifica delle sue opere più riuscite, rimanendovi tutt’oggi in vetta. Lungi dal dimettersi dal franchise, Goldsmith avrebbe comunque proseguito la sua filiazione con i commenti per i successivi L’ultima frontiera, Primo contatto, L’insurrezione e La nemesi, con l’aggiunta del tema per il prolungamento televisivo Voyager, mantenendo una sintonia insuperata con l’etica del progetto pur senza mai uguagliare gli esiti del primo exploit. Sorte toccata anche ai compositori intervallatisi durante il suo mandato: da Dennis McCarthy (Generazioni) – personalità connotativa del secondo seriale – a Cliff Eidelman (Rotta verso l’ignoto). Menzione speciale per il veterano Leonard Rosenman, all’epoca già notoriamente iconoclasta e coraggioso a tal punto da divertirsi con un pastiche fortemente ironico e un nuovo tema per il suo spartito offerto a Rotta verso la Terra.

Da tale solco dispensatore di responsabilità e riferimenti, Michael Giacchino è uscito per lo più indenne, seppur cadendo anche lui sotto l’impietoso confronto con il parametro goldsmithiano del ’79. Il servizio offerto al prequel cinematografico è prudentemente forgiato nella scrittura accesa e dettagliata. Il compositore gioca soprattutto la carta marziale, ripropone una congenita affinità per le ampie scritture per archi e propone una nuova variazione sul tema di Courage che guadagna anche funzione autonoma, un motivo conduttore che diventa spina dorsale del film. A sorpresa, poi, la musica sembra maggiormente orientata ai moduli horneriani che a quelli del Goldsmith d’annata. Con l’aggiunta di sporadici squarci esotici e una suite per i titoli di coda che brilla sul resto (un’abitudine ormai nota dell’autore sin da Gli incredibili), Giacchino garantisce insomma l’apporto al fotografico ma resta palese la fatica nel raggiungere i livelli qualitativi ottenuti in passato.

E se per il film parlerà soprattutto il botteghino, è alle musiche dunque che questa volta sembra in parte toccata la supposta maledizione dei capitoli dispari nell’epopea cinematografica dell’ultima frontiera dello spazio.