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Easy Virtue

Diverte e convince il film di Stephan Elliott, una commedia in costume ambientata nella campagna nobiliare inglese grazie anche ad un cast perfetto dove brilla la bellissima Jessica Biel

Easy Virtue

27.10.2008 - Autore: Adriano Ercolani

1) L’estroverso regista australiano Stephan Elliott, uno che ha sempre centellinato i suoi lavori per il cinema – non dirigeva un lungometraggio dal 1999 – ha deciso di “resuscitare” una piece teatrale degli anni ’20, probabilmente quel testo doveva contenere qualcosa di buono.

2) Lo stesso testo, scritto dal genio anticonformista di Noel Coward, era già stato portato al cinema nel 1928 da Alfred Hitchock, uno dei cineasti che più di tutti sapevano riconoscere meccanismi narrativi funzionali e ritmati.   L’interesse dunque per questa commedia di costume ambientata nella campagna nobiliare inglese era più che giustificato, e non è stato assolutamente disatteso.

Lavorando su una messa in scena piuttosto tradizionale, anche se condita con alcuni piccoli guizzi di inventiva davvero originali, Elliott ha lasciato ampio spazio alla grandezza dei dialoghi ed alla comicità corrosiva delle situazioni, costruendo una sequenza di scene perfettamente concatenate tra loro ed insieme strepitosamente funzionali, dove il ritmo delle battute al vetriolo è anche supportato da una trama che avanza precisa e pungente fino alla sua inevitabile conclusione. 

Un altro innegabile pregio del film è quello del cast d’attori, composto da interpreti probabilmente non dotati di capacità indiscutibili ma tutti precisamente adattati a ruoli a loro congeniali, in grado quindi di fornire prove di altissima qualità; Colin Firth è un ottimo capofamiglia segnato dagli orrori della guerra ed ormai incapace di accettare le convenzioni ipocrite del mondo in cui vive; sua moglie Kristin Scott Thomas è invece la personificazione algida e perfetta di quel mondo conservatore e mai aperto al cambiamento; ma a sorprendere davvero è la protagonista Jessica Biel, perfetta nel ruolo dell’americana disinibita e volitiva che porta con sé una ventata d’innovazione, non semplicistica né tanto meno libera da ambiguità e da dolore. 

In un panorama cinematografico dove l’estetica, la forza dell’immagine è costantemente messa davanti alla struttura narrativa, all’importanza della sceneggiatura, questo notevole “Easy Virtue” potrebbe essere preso come esempio, e raccontare che il cinema è ancora un’arte di scrittura, di dialogo, di storia. Elliott ha compiuto un’operazione davvero preziosa, e non ci si lasci ingannare dalla confezione vagamente retrò di “Easy Virtue”, perché in realtà si tratta di un film molto più attuale e moderno di quanto non appaia in un primo momento. Insomma, uno dei migliori lungometraggi presentati a questa edizione del Festival di Roma.
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