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Dietro le quinte

Dietro le quinte

scorsese

13.06.2001 - Autore: Luca Persiani
Si respira un\'aria strana a Cinecittà: è spessa, densa, carica, ma non pesante. E\' l\'aria dei set dell\'ultimo film di Martin Scorsese, \"Gangs of New York\". Pezzi della grande mela -non ancora tale- della metà dell 1800, quando ancora il grosso dell\'immigrazione italiana non era che un dramma del futuro e la città era piena di irlandesi e cinesi, le scenografie del film del maestro di Long Island occupano una bella fetta della città del cinema. Questi ambienti emanano un\'atmosfera di sogno costoso e minuzioso a cui il cinema italiano non era più abituato; ma è anche un\'atmosfera di fine, di smantellamento, un mondo provvisorio che aspetta le decisioni dei produttori che ne decreteranno la permanenza o la distruzione. Dal set della Roma poco più tarda del recente \"Concorrenza Sleale\" di Ettore Scola, Dante Ferretti ha ricavato una strada centrale, con i negozi di alimentari, i bar, le farmacie, le insegne dipinte a mano, ai muri manifesti stracciati e ingialliti, a terra un pavimento di pietre attraversato da carri e cavalli, segni neri del fumo di un\'esplosione o di un incendio. Gli edifici sono strutture in ferro praticabili, ormai privi di mobili e pieni degli echi dei passi dei visitatori. Poco lontano, la polverosa e povera zona del porto: case di legno, strade di fango e terra, mucchi di legna agli angoli delle strade, insegne in caratteri orientali e un enorme spiazzo dominato da una specie di collinetta sulla quale sorgeva la bottega del barbiere, sorta di avamposto di sicurezza del quartiere, ora distrutto durante le riprese del film. Inaspettato si avvicina uno dei responsabili del set, in bicicletta, straniante anacronismo fra gli edifici vuoti del set silenzioso e inabitato. Nel teatro 5, storico \"stage\" fra i più grandi del mondo -abitazione elettiva di Federico Fellini e orgoglio di chiunque lavori nella città del cinema- Ferretti ha ricostruito minuziosamente un piccolo teatro cinese d\'epoca, con lampadari arzigogolati in ferro battuto, palcoscenico funzionante, galleria. La sensazione di essere tornati indietro nel tempo è perfetta, il salto dal teatro di posa al teatro di prosa deliziosamente stordente. Ma questa è solo metà del vasto teatro 5. Nell\'altra metà c\'è un ennesimo impressionante ambiente perfettamente ricostruito: l\'alto locale di una sorta di fabbrica adibita a dormitorio dei lavoratori immigrati. La scenografia sfrutta tutte le possibilità del teatro, immergendosi anche nel livello delle piscine, dove inventa degli scantinati-celle. Uscire dal teatro, di nuovo a contatto con l\'architettura severa e funzionale di Cinecittà è come essere sbalzati in un altrove meno interessante, nonostante si tratti della realtà, anche se una realtà che, in fondo, serve solo a produrre fantasie di luce.