In questi ultimi anni molti sono stati i
lungometraggi “on the road” che si sono guadagnati il plauso della critica e
molto spesso anche del pubblico: pensiamo ad esempio al viaggio in Buick che
intraprendono i due fratelli Babbitt nell’emozionante “Rain Man” (id.,
1988) di Barry Levinson; Tom Cruise e Dustin Hoffman fanno del loro viaggio il
momento principale per la costruzione del loro rapporto fraterno, che porterà
entrambi alla conoscenza reciproca.
Un altro piccolo gioiello dimenticato di
quel periodo è “Fandango” (id., 1985), esordio di Kevin Reynolds
che raccontava la “fuga” di quattro giovani, capitanati da Kevin Costner, per
evitare la chiamata di leva verso il Vietnam: un piccolo capolavoro di
atmosfera, in cui la nostalgia per la perdita dell’innocenza si trasformava in
accettazione della propria natura.
Questi sono soltanto alcuni esempi di splendidi
road movie che il cinema americano ci ha regalato negli ultimi anni, film che
hanno adoperato gli stilemi estetici e la forza visiva del viaggio per raccontare
anche, anzi soprattutto, i percorsi che l’animo dei protagonisti ha intrapreso
per raggiungere un suo equilibrio.


NOTIZIE
Da "Easy Rider" in poi
Lo scanzonato "Svalvolati on the Road" è l'ultimo esempio di un filone di cinema americano che ha fatto del viaggio un momento fondamentale della conoscenza e della crescita interiore dei propri personaggi...

17.04.2007 - Autore: Adriano Ercolani