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Beowulf
Dopo il riuscito "Polar Express" con la tecnica 'performance capture' Zemicks torna con questo nuovo "Beowulf" ci regala uno spettacolo tanto magniloquente quanto affetto da gigantismo
15.11.2007 - Autore: Adriano Ercolani
Con la sua continua ricerca nel campo degli effetti speciali, che ha coinciso anche con una sperimentazione tecnica e linguistica molto personale, Robert Zemeckis ha scritto pagine fondamentali nella storia del cinema contemporaneo. Pensiamo ad esempio a capolavori innovativi come “Chi ha incastrato Roger Rabbit?” (Who Framed Roger Rabbit?, 1988) o “Forrest Gump” (id., 1994), oppure a tentativi più personali quale “Cast Away” (id., 2000), le cui riprese sono state interrotte di un anno per far dimagrire Tom Hanks. Eppure, Zemeckis non ha mai dimenticato di andare incontro alle esigenze del pubblico, offrendo sempre uno spettacolo all’insegna dell’emozione ed insieme della sobrietà. Da quando ha cominciato a sperimentare con l’animazione in digitale, e più precisamente con la tecnica che è stata ribattezzata performance capture, questo grande cineasta sembra però non aver ancora ritrovato quel senso della misura che ha contraddistinto i suoi lavori più riusciti. Se infatti il precedente “Polar Express” (id., 2004) risultava un concentrato di retorica e buonismo melenso, con questo nuovo “Beowulf” ci regala uno spettacolo tanto magniloquente quanto affetto da gigantismo.
Il film, tratto dal poema epico più antico mai scritto in lingua inglese, mette così tanta carne al fuoco che non riesce a trovare compattezza: la prima parte è decisamente più assimilabile agli stilemi dell’horror, con le scene in cui compare il disgustoso Grendel che a tratti sfiorano il raccapriccio. Nella seconda metà ci si muove invece più esplicitamente verso il grande spettacolo per famiglie, con dispiego di grande inventiva cinematografica. Film d’animazione “adulto” se mai ne è stato fatto uno, “Beowulf” rimane comunque un momento di cinema impressionante per la sua realizzazione, ma soffre della difficoltà di trovare un centro estetico che ne puntualizzi la sua stessa natura: di sicuro non è un film per bambini, e perde in qualche modo di presa sullo spettatore nel suo essere un tale “ibrido”.
La tecnica messa a punto da Zemeckis è notevolmente migliorata rispetto al precedente lavoro, ma rimane comunque nel campo dell’animazione digitale, e tutto sommato la necessità che questo film venisse girato in questo modo non risulta ben chiara. Visivamente magniloquente, “Beowulf” rimane un prodotto a metà perché fondamentalmente incerto sulla sua stessa natura e sul proprio target di riferimento. A quale pubblico è destinato questo film, se non a Zemeckis stesso? Sarà il responso del botteghino a dircelo…