NOTIZIE

Avril Lavigne - Under My Skin

"Under My Skin" è stato considerato da molti - ancor prima della sua uscita- il disco dell'avvenuta maturità e della presa di coscienza che Avril non è più una bambina cresciuta ma una ragazza con le idee più chiare. Tutto ciò non è completamente vero.

Avril Lavigne - Under My Skin

19.05.2009 - Autore: Alberto Lo Pinto
La strepitosa e inaspettata riuscita di “Let Go”, album di esordio di Avril Lavigne, contenente le celebri hits “Complicated” e “Sk8ter Boy”, è dovuta all’efficace lavoro di The Matrix, non il programma di realtà virtuale di Neo, Morpheus & C., ma il team di produzione conosciuto per i successi mondiali di Britney Spears e Ricky Martin. Avril Lavigne ha passato buona parte dei due anni trascorsi dall’uscita di “Let Go”, criticando aspramente il fondamentale contributo di The Matrix - e così è facile spiegare per quale motivo il nome della casa discografica sia totalmente assente nei credits dell’ultimo album “Under My Skin”. Il rimanente tempo, Avril lo ha trascorso scrivendo e incidendo le tracks che rappresentano la spina dorsale del disco, frutto di una nuova collaborazione con Chantal Kreviazuk, cantautrice canadese molto stimata dalla neo-19enne. Il risultato non è un cambiamento radicale, e non a caso alcune tracks possono ricordare il ritmo accelerato, punteggiante di “Sk8ter Boy”.   “Under My Skin” è stato considerato da molti - ancor prima della sua uscita- il disco dell’avvenuta maturità e della presa di coscienza che Avril non è più una bambina cresciuta ma una ragazza con le idee più chiare. Tutto ciò non è completamente vero. Se si presta attenzione alle lyrics, è chiaro che esse raccontano ancora tipiche angosce adolescenziali, ostinate proteste e ribellioni contro tutto e tutti, sognando l’anarchia e la libertà di pensiero. Si pensi ad esempio a questi versi ‘tipo’: “No one understands, I’m really bored, Don’t patronise me, Don’t try to tell me what to do/ say”.   Detto questo, un occhio di riguardo va certamente a “Don’t Tell Me”, singolo di punta in questo periodo e “Togheter”, in cui troviamo il piano e il synth per aggiungere un tocco di sentimentalismo in più. Il resto è presto detto: “Take Me Away”, che ricorda la lucentezza del punk-pop con il solito synth di sottofondo, e “He Wasn’t”, in cui rivivono i tempi della prima fanciullezza. Tutte le rimanenti canzoni sono un lungo sospiro, un lamento di “whatever”, un fissare apparentemente significativo, un sussurrare sconcertato.   Alla seconda uscita pubblica, il meccanismo che, nel primo disco, faceva funzionare splendidamente l’attraente giostra-Lavigne, appare ora in qualche modo incrinato e ingarbugliato, e il rimedio per rimontare le classifiche mondiali - cioè mettere un visino imbronciato, una ragazza carina, una storia d’amore con il chitarrista (anche lui adulato dalle teenagers), melodie rock punkeggianti da stadio e testi accattivanti- sembra proprio non bastare più.  
FILM E PERSONE