
Ma come realizzare e rendere appetibile oggi un film di propaganda? Per esempio, ed è l'idea alla base della pellicola, inserendo elementi propri del documentario in una struttura di finzione (i protagonisti sono effettivi del corpo speciale) o girando le scene di battaglia in soggettiva come se fossimo in un videogioco sparatutto in prima persona. Per il resto siamo alle solite. Con tutti i cliché del caso: dal momento corale la sera prima della missione all'addio con lacrime alla moglie incinta, fino alla lettera del commilitone al figlio appena nato del compagno caduto in battaglia, senza dimenticare il funerale con tutti gli onori (spari, divise immacolate e cerimonia di piegamento della bandiera compresi).

La trama? Presto detta. Dopo aver recuperato un'agente prigioniera nella giungla, si scopre l'esistenza di un disegno terroristico volto ad attuare diversi attentati su suolo americano. Un piano ovviamente sventato dai nostri (veri) Seal. Ma purtroppo la piatta e scontata struttura drammatica del film non convince tanto neanche nelle scene di guerra e non offre uno sguardo autentico e preciso sul mondo degli incursori dell'esercito Usa: tra documentario e opera di fiction, non funziona né come primo né come secondo. Il tentativo era quello di realizzare una sorta di “Berretti verdi” o di “Top Gun” aggiornato ai tempi dei “Bourne” e del videogame “Quake”. Ma la domanda che sorge spontanea riguarda il senso stesso dell'operazione. E quale sia l'eventuale pubblico che possa intercettare o solo incuriosire.
“Act of Valor”, in uscita il 4 aprile, è distribuito in Italia da M2 Pictures.