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40 anni dopo, Fuga da Alcatraz è ancora il più grande thriller carcerario di sempre

Il film di Don Siegel contiene uno dei ruoli più iconici di Clint Eastwood. Il nostro omaggio, a 40 anni dalla sua uscita

Fuga da Alcatraz

20.06.2019 - Autore: Marco Triolo
Il mito di Clint Eastwood e Don Siegel passa per Fuga da Alcatraz. Che, ironicamente, fu anche il loro ultimo film insieme, nonché il terzultimo film del regista di Ispettore Callaghan, il caso Scorpio è tuo.
 
Quando Fuga da Alcatraz uscì, il 22 giugno 1979, erano passati solamente diciassette anni dagli eventi che lo avevano ispirato. Eventi che erano stati raccontati nel libro omonimo di J. Campbell Bruce, da cui lo sceneggiatore Richard Tuggle ha tratto il suo script. Tuggle, che ha pochissimi altri crediti come sceneggiatore e regista, scrisse la sceneggiatura di sua volontà e, nel tentativo di farla produrre dopo una serie di porte in faccia, telefonò all'agente di Siegel millantando un precedente incontro tra loro e l'interesse del regista. Una piccola truffa decisamente poetica, se consideriamo di che film si trattava.

 
 
Gli eventi narrati in Fuga da Alcatraz ebbero luogo nel giugno del 1962. La notte dell'11 giugno, per essere precisi, i detenuti Frank Morris e John e Clarence Anglin, dopo aver staccato le griglie di ventilazione delle loro celle, riuscirono a entrare nel cavedio tra le celle e scalarono le tubature fino a raggiungere il tetto. Da lì scesero e raggiunsero la spiaggia, dove si lasciarono Alcatraz alle spalle galleggiando su una scialuppa di fortuna. Non furono mai più ritrovati e, ancora oggi, non si sa se siano sopravvissuti o meno alle correnti e alla bassa temperatura delle acque della baia di San Francisco.
 
Da questa idea partì Don Siegel, edificando un finale che, oggi, forse sarebbe meno facile realizzare. Una conclusione estremamente ambigua, in cui lo spettatore viene lasciato con il dubbio circa la sopravvivenza di tre personaggi le cui gesta aveva seguito per due ore. Segno inconfondibile di un cinema d'altri tempi: la crudezza del crime movie americano anni '70 si sposa con la classicità del genere carcerario. Ne esce uno dei migliori film del filone di sempre, che include uno dei ruoli più iconici per Eastwood.

 
 
La star interpreta ovviamente Frank Morris, il protagonista e leader del gruppetto di detenuti che progetta la fuga impossibile. Morris viene subito presentato come un carcerato dal Q.I. eccezionalmente alto. Come accade sempre nei film carcerari, siamo portati a parteggiare per lui e per i suoi compagni di prigionia, nonostante sappiamo che si tratti di criminali. Ma qui sta la bravura di Siegel: a differenza de Le ali della libertà – lungi da noi criticare il film di Frank Darabont, è solo una constatazione – qui i criminali non vengono rappresentati come dei bonaccioni. Siegel non si dimentica mai che, se Morris e compagnia si trovano rinchiusi ad Alcatraz, nella maggior parte dei casi un motivo c'è. È vero, proviamo empatia per Doc (Roberts Blossom), che coltiva crisantemi e dipinge quadri. Ma Morris stesso, il nostro “eroe”, ha il volto nervoso e scavato di Clint Eastwood. Si capisce da subito che è un osso duro.
 
Certo, il film non ha paura di abbandonarsi a qualche cliché funzionale. Ma, quando lo fa, lo fa alla grande. Il direttore del carcere interpretato dal grande Patrick McGoohan è il più sadico e infame mai visto (e nella realtà non è mai esistito). E l'empatia verso Doc esplode in una scena, quella in cui il pittore, depresso, si taglia le dita con un'accetta, il cui impatto è guadagnato e duraturo. Non la dimenticherete facilmente.

 
 
In un incredibile caso di compenetrazione tra finzione e realtà, Fuga da Alcatraz fu girato per davvero ad Alcatraz. Il carcere era stato chiuso un anno dopo l'evasione, nel 1963. La produzione ci mise 500 mila dollari per ristrutturare in parte gli edifici. E le modifiche sono state mantenute dopo le riprese. Oggi, se andate a visitare Alcatraz, vi verrà consegnato un lettore audio contenente un'esauriente visita guidata, che si concentra con grande gusto per il drama sulle vicende di Morris. Troverete, in alcune delle celle perfettamente ricostruite, le teste di cartapesta create dagli evasi per ingannare le guardie. Potrete visitare il cortile, dove i detenuti passavano la tanto agognata ora d'aria. Vi sentirete un po' parte di una mitologia americana che Siegel ha ricostruito così bene nel suo film.
 
In Fuga da Alcatraz c'è tutta il suo rigore nel mettere in scena storie d'azione dai dialoghi essenziali e dal ritmo incalzante. C'è la capacità di affidarsi a cliché quando necessario, ma di stupire con ritratti onesti di persone problematiche, senza abbellire gli ambienti e le circostanze. C'è il suo gusto per un cast di professionisti dai volti severi, da Eastwood a McGoohan, da Fred Ward a Jack Thibeau. C'è, insomma, tutto il classico cinema americano dei duri, quello che non fa sconti e ti colpisce dritto allo stomaco, restandoti incollato agli occhi e al cervello. Perché, come Sergio Leone, Don Siegel sapeva la differenza tra storia e mito. E, come lui, sceglieva il mito.