The Wrestler

The Wrestler - Locandina

Alla fine degli anni Ottanta Randy Robinson detto l'Ariete era un lottatore professionista di grido. Ora, a vent'anni di distanza, sbarca il lunario esibendosi per poche manciate di fan irriducibili del wrestling nelle palestre delle scuole superiori e nei centri ricreativi sociali del New Jersey e degli stati confinanti. In rotta con la figlia e incapace di impegnarsi in una vera relazione, Randy vive per il brivido dello spettacolo e per la venerazione di cui gode da parte dei fan. Quando però, nel bel mezzo di un incontro, viene colto da un attacco di cuore, il medico lo esorta a rinunciare per sempre al wrestling: il prossimo incontro potrebbe infatti essergli fatale. Costretto al ritiro forzato Randy inizia a riflettere sulla propria vita, cerca di riconciliarsi con la figlia e si lancia in un'avventura amorosa con una spogliarellista non più giovanissima. Ma l'euforia del momento e la passione per la sua arte minacciano di farlo tornare sul ring.

VALUTAZIONE FILM.IT
TITOLO ORIGINALE
The Wrestler
GENERE
NAZIONE
Stati Uniti
REGIA
CAST
SITO UFFICIALE
DISTRIBUZIONE
Lucky Red
DURATA
105 min.
USCITA CINEMA
06/03/2009
ANNO DI DISTRIBUZIONE
2008
Il mito del cowboy di frontiera, dell'uomo che conosce un solo modo di vivere e che per questo rimane sempre ai margini della comunità, nel cinema americano contemporaneo si sta trasferendo verso altri confini, e questo festival di Venezia ce lo sta raccontando con pienezza: nel bellissimo “The Hurt Locker” (Id., 2008) di Kathryn Bigelow – il “nostro” Leone d'Oro - questo tipo di figura solitaria si è trasferito a Baghdad, un confine dove l'America socialmente più debole sta perdendo la sua battaglia per l'identità.

In “The Wrestler” (id., 2008), il film di Aronofsky presentato oggi in concorso, questo personaggio si trasferisce invece sul ring, luogo ultimo in cui la tipologia del “self-made man” diventa metafora esplicita di una cultura che, tesa a spettacolarizzare qualsiasi cosa, lo ha ridotto a tragica mistificazone dei valori che furono un tempo. Il personaggio di Randy “The Ram” (l'ariete) Robinson rappresenta questa perdita di valori in maniera pressoché perfetta, impersonato con l'anima e soprattutto con il corpo martoriato da un Mickey Rourke commovente, che merita senza alcun dubbio la Coppa Volpi per l'interpretazione maschile.

Seguendo l'evoluzione morale di un uomo che si è perso e che tenta di ritrovarsi uscendo dal mondo che lo ha “cullato” per troppo tempo, facendolo sentire un eroe vincitore di battaglie fittizie, Aronofsky compone una delle più intelligenti operazioni stilistiche viste in questi ulti tempi, abbandonando il suo stile cinematografico precedentemente virtuosistico in favore di una messa in scena sobria ed attaccata al suo personaggio, partecipe ed insieme discreta nel suo personale calvario.

The Wrestler” è in tutto e per tutto un film sulla disillusione, sulla presa di distanza dal mito, ed allo stesso modo è un'opera che racconta come chi partecipa al rito collettivo di chi si ciba questo mito, è quasi sempre impossibilitato ad uscire dalle sue regole di spettacolo.

Doloroso, molto preciso nel tratteggiare non solo Randy, ma anche la sua amata spogliarellista Cassidy (una Marisa Tomei sempre più intensa ed avvenente), e sua figlia Stephanie (brava Evan Rachel Wood), questo lungometraggio si rivela una parabola che si muove sui binari conosciuti del cinema classico, o meglio su un tipo di dispositivi narratologici che il pubblico conosce benissimo. Aronofsky però sa tenere con precisione il ritmo della vicenda, la scansiona secondo l'evoluzione emotiva della figura di Rourke, e realizza un puzzle dove ogni tassello va al suo posto al momento giusto.

In più di una sequenza “The Wrestler” è una pellicola molto commovente, che arriva la cuore dello spettatore grazie alla prova maiuscola di un attore qui evidentemente alle prese con il ruolo della sua vita. L'intelligenza del cineasta è stata quella di calibrargli addosso una storia dolorosa e pessimista, dove il riscatto può avvenire soltanto nella presa di coscienza della propria natura, qualunque essa sia.

Il concorso di questa edizione di Venezia viene certamente impreziosito dalla presenza del lungometraggio Aronofsky, che sarebbe un suicidio tenere fuori dal palmares dei premiati.