Terraferma
La storia di un'isola siciliana, di pescatori, quasi intatta. Appena lambita dal turismo, che pure comincia a modificare comportamenti e mentalità degli isolani. E al tempo stesso investita dagli arrivi dei clandestini, e dalla regola nuova del respingimento: la negazione stessa della cultura del mare, che obbliga al soccorso. Una famiglia di pescatori con al centro un vecchio di grande autorità, una giovane donna che non vuole rinunciare a vivere una vita migliore e un ragazzo che, nella confusione, cerca la sua strada morale. Tutti messi di fronte a una decisione da prendere, che segnerà la loro vita.
In “Nuovomondo” era un transatlantico, eravamo all'inizio del ventesimo secolo e gli immigrati erano italiani. In “Terraferma”si
viaggia in gommone, i passeggeri hanno i volti scuri dell'Africa e
parliamo di oggi e domani, di viaggi della speranza che continuano senza
interruzioni possibili né oggi né in un prossimo futuro. Emanuele Crialese unisce due dei temi principali delle sue passate pellicole (“ Respiro” e, per l'appunto, “Nuovomondo”), la vita su un'isola vista da un isolano e l'emigrazione, per firmare uno splendido film fatto di acqua, sabbia, solidarietà e incertezze nel futuro.
Partire o non partire? Se c'è chi pensa di lasciare l'isola, la sua
povertà (se non nei due mesi esitivi grazie al turismo), la tradizione
della pesca e un intero mondo di luoghi e cultura che, purtroppo, non
danno da mangiare, c'è chi in quel pezzettino di terra pensa di aver
trovato il primo passo verso una soluzione ai problemi della vita, cioè
vivere in un Paese più ricco.
La disperazione è biunivoca, ma non c'è miseria economica che tenga, né
possibilità di non rispettare la morale della “legge del mare”: quando
c'è bisogno di aiutare chi sta peggio di noi, non ci si può girare
dall'altra parte per evitare di correre dei rischi. Quello di Emanuele Crialese è un film denso tanto nei contenuti, quanto nella forma.
L'estate di “formazione” del suo protagonista è solo un pretesto
narrativo per dare un inizio e una fine ad una serie di eventi che si
ripetono circolarmente e periodicamente in tante zone del mondo, Italia
come Spagna o altre nazioni ancora. Ciò che è prettamente italiano è il
modo di approcciarsi agli altri, quella generosità che spesso si
maschera dietro la diffidenza, ma di cui non possiamo fare a meno. Non c'è polemica strettamente politica nella sceneggiatura scritta da Crialese,
si parla di uomini, sentimenti, ricatti morali a cui non si può non
ubbidire perché anche se è vero che ci si sente costretti ad avere certi
comportamenti, in fondo si pensa che sia anche la cosa più giusta da
fare.
Le luci si accendono improvvisamente sul mare così come un mappamondo di
notte balla sopra le teste di questo eterogeneo gruppo di rifugiati -
chi dalla Libia, chi dalla propria casa - ora stretti tutti in un garage
a pensare a come sarà il futuro, a quale nuova “terraferma”
bisognerà ambire per vivere e non solo sopravvivere. E seppure
qualche passaggio si riveli un pochino semplicistico ed oltremodo
ideologico, come la clandestina che ripete la parola “mangiare” o i
carabinieri con la mascherina sul bagnasciuga, la forza di questa
pellicola è così intensa che su questi difetti si può passare
tranquillamente sopra. La poesia per immagini di Crialese
commuove e diverte, racconta la storia di un adolescente e racconta la
storia di tutti noi, anche di chi vive in città. Anche lui,
quando accende il televisore e gli viene mostrato l'ennesimo sbarco,
affronta i filmati con una propria opinione, di condanna o di
comprensione che sia. Non ha potere diretto sull'evento, non può
decidere se respingerli o accoglierli, ma sa bene che incontrerà quegli
stessi stranieri sull'autobus, quelle storie saranno proprio lì accanto a
lui. Se si sentiranno o meno nuovi italiani, dipenderà prima di tutto
dal mondo in cui li guarderà negli occhi.