

Posti in piedi in Paradiso

Nel film Posti in piedi in Paradiso, Ulisse, un ex discografico di successo, vive nel retro del suo negozio di vinili e arrotonda le scarse entrate vendendo "memorabilia" su e-bay. Ha una figlia, Agnese, che vive a Parigi con la madre Claire, un'ex cantante. Fulvio, ex critico cinematografico, scrive di gossip e vive presso un convitto di religiose. Anche lui ha una bambina, di tre anni, che non vede quasi mai a causa del pessimo rapporto con l'ex moglie Lorenza. Domenico, in passato ricco imprenditore, è oggi un agente immobiliare che dorme sulla barca di un amico e, per mantenere ben due famiglie, fa il gigolo con le signore di una certa età. Ha un rapporto conflittuale con i due figli più grandi ed è perennemente in ritardo con gli alimenti da versare alla sua ex moglie e all'ex amante Marisa, da cui ha avuto un'altra figlia. Dopo un incontro casuale, durante la ricerca di una casa in affitto, Domenico realizza di avere incontrato due poveracci come lui e propone ad Ulisse e Fulvio di andare a vivere insieme per dividere le spese di un appartamento. Inizia così la loro convivenza e la loro amicizia.

Si ride di gusto, almeno per tre quarti del film, grazie a un cast in forma comica smagliante. Da una parte Verdone ci ripropone il suo ruolo iconico dello sfigato che continua a scavare
oltre il fondo. Dall'altra i co-protagonisti lo spalleggiano: Pierfrancesco Favino,
ben ritrovato in un ruolo comico, sembra un po' il fratello minore del
regista e si diverte anche lui a esplodere come l'Incredibile Hulk
quando perde il controllo. Le grandi risate invece vengono provocate dal talento di Marco Giallini:
l'attore italiano dell'anno (che in realtà recita da più di due decadi)
torna ai personaggi istrionici e disgustosi, tanto cari alla commedia
all'italiana di un tempo. Personaggi a cui è impossibile non voler bene.
È lui a trascinare il ritmo eccellendo anche in una comicità fisica.
Chiude il cerchio Micaela Ramazzotti che arriva al momento giusto per rendere il ritmo ancora più frizzante.
Se dunque il cast contribuisce a far passare in secondo piano una regia piatta troppo legata agli anni Ottanta, il vero grande problema di “Posti in piedi in paradiso” è una forzatura narrativa che si presenta nella lunghissima parte finale.
Nel tentativo di affrettarsi a trovare una soluzione esistenziale per i
tre protagonisti, Verdone frena sul ritmo, cercando un lieto fine
obbligatorio.
Sulla carta una commedia a prova di bomba, ottimamente recitata e resa
ancora più brillante dalle ossessioni verdoniane - con il regista che
ancora una volta punta sul rock, sfoggiando perfino un paio di pantaloni
appartenuti a Jim Morrison - l'esecuzione finale, però, è un'occasione
mancata. Da un autore come Verdone si poteva puntare su più originalità e
più cattiveria.
di Pierpaolo Festa