

L'uomo che ama

Un film che racconta la grande passione di un uomo per una donna dal punto di vista maschile. L'uomo che ama è un uomo normale che in due storie diverse vive situazioni opposte: abbandona e viene abbandonato, diventa carnefice e poi vittima.

Partiamo subito con l'affermare che sotto il profilo puramente estetico si tratta di una pellicola decisamente sopra la media degli standard a cui la nostra cinematografia ci ha abituato, ed i cui difetti sono dovuti appunto alla voglia evidente di costruire un'opera stilisticamente più elegante e strutturalmente più complessa della maggior parte dei nostri lavori.
Anche se imperfetto quindi “L'uomo che ama” merita di essere difeso, ed ancor prima di lui la sua regista, che fin dalle prime inquadrature mostra di avere un gusto cinematografico sopraffino, assolutamente attento ai dettagli ed alla giusta composizione dell'inquadratura; insieme ad un direttore della fotografia di sicuro talento come Arnaldo Catinari, la Tognazzi ha finalmente dimostrato che quando si fa cinema si deve provare a rendere interessante qualsiasi immagine del film, a partire proprio dai più “scontati” campo e controcampo, fatti di primi piani che raccontano emotivamente i momenti più empatici dell'opera. Questo nel suo film è evidente, e va sottolineato come merito; difetto della regia è invece pensare di adoperare il movimento della macchina da presa come ulteriore, costante sottolineatura alla bellezza dell'immagine, e questa scelta stilistica si rivela invece ridondante, e non permette quella necessaria stilizzazione che avrebbe impreziosito la sviluppo emotivo della storia.
Un altro problema de “L'uomo che
ama”, da attribuire sempre ad un “eccesso” del film, è invece molto difficile
da sviscerare, perché si tratta del suo protagonista, Pierfrancesco Favino. La
questione è quasi paradossale da raccontare, perché la bravura dell'attore nel
disegnare la psicologia ed il mondo emotivo del suo personaggio è talmente
evidente e precisa che in qualche modo nuoce alla sceneggiatura, in quanto
svela molto più di quanto sarebbe servito alla trama. Si tratta di un appunto
ovviamente paradossale, ma se Favino fosse stato meno puntuale nel raccontarci
la figura di Roberto la seconda parte del film sarebbe stata probabilmente più
efficace. Questa, seppur in maniera indiretta, è però la testimonianza del
fatto che ci troviamo davvero di fronte ad un attore con delle qualità
superiori ed un carisma non comune, che pur avendo ancora molto cinema davanti
a sé già inizia a meritare di essere collocato tra i “grandi” della storia del
cinema italiano.