L'ultimo terrestre
La storia dell'ultima settimana sulla terra prima dell' annunciato arrivo di una civiltà extraterrestre, vista attraverso gli occhi di un uomo solo, che odia le donne e non desidera per sè altro che routine e solitudine.
A volte arriva un film che dimostra quanto sia possibile anche in Italia
fare qualcosa di diverso dai soliti drammi e commedie. A volte ci vuole
un Gipi, alias Gian Alfonso Pacinotti,
cioè qualcuno che approcci il cinema con lo sguardo vergine di chi
esordisce nella settima arte venendo da un percorso totalmente diverso.
Senza il bagaglio delle scuole di cinema, senza l'ottica di chi deve a tutti i costi dimostrare di “essere un autore”, ma avendo solo una storia da raccontare e qualcosa da dire.
Gipi e il suo “L'ultimo terrestre” sono proprio questo, una ventata d'aria fresca in uno stanzino che puzza di chiuso,
e non è un caso che di aria nuova parli anche il film, storia di vite
strozzate da rimpianti e rimorsi ambientata in un'Italia in cui le cose
brutte sono tante più di quelle belle. Ma siamo in un mondo che – pur
identico al nostro – ha anche una sostanziale differenza: sta attendendo
l'arrivo degli alieni, annunciato da tempo. Seguiamo però le vicende di
un personaggio, Luca (Gabriele Spinelli), che vive una
vita piccola, solitaria. Che ha grossi problemi a relazionarsi con gli
altri e soprattutto con le donne. E vediamo come anche la sua vita sia
cambiata da questo evento storico atteso da tutta la popolazione
mondiale. Cambiata in meglio o in peggio? La domanda è ben più
importante della risposta.
L'avrete capito: “L'ultimo terrestre” non è decisamente un film di fantascienza,
anche se non mancano elementi sci-fi. Ad esempio, gli alieni sono veri,
esistono, non si tratta di allucinazioni collettive o di un vezzo
metaforico. Certo poi, come spesso accade, gli alieni servono sì come
metafora per parlare della situazione umana, e in questo caso del nostro
paese. Un luogo talmente carico di problemi irrisolvibili, che ormai le
persone preferiscono adattarsi e sopravvivere, anziché vivere davvero. Pacinotti auspica dunque una risoluzione, un vento di cambiamento, un qualcosa che ci strappi da questa impasse e cambi le cose.
Il film ha due pregi grandissimi: oltre all'idea, come detto, di tentare una strada diversa dal solito, Gipi lascia giustamente un velo di ambiguità.
Non è chiaro quale sia la volontà dei visitatori, sembra positiva e
benevola, ma non mancano i dubbi. Si tratta, in fondo, di esseri
provenienti da un mondo lontano, per cui chi ci dice che la pensino come
noi?
La scrittura matura si sposa con una regia che sicuramente mostra alcuni
limiti – dopotutto Gipi, fumettista affermato, qui è una matricola – ma
sicuramente infila un paio di idee interessanti e in generale serve
molto bene le vicende, sta sui volti ma non disdegna di dipingere luoghi
inquietanti, una provincia cupa e opprimente che sembra non avere mai fine e non sfociare mai in aggregati umani, oltre che urbani.
Merita poi una menzione Spinelli, altro esordiente assoluto senza alcun
background cinematografico, a parte i corti che realizzava più di dieci
anni fa con l'amico Gipi. Se il cinema italiano riuscisse ad essere più
spesso così, avremmo vinto la lotteria di Capodanno.