La città verrà distrutta all'alba
Remake del film di George A. Romero La città verrà distrutta all'alba. Gli abitanti di una piccola cittadina rurale del Kansas sono costretti ad affrontare una mortale epidemia di violenza e follia dopo che, a causa di un'incidente aereo, una pericolosa arma batteriologica viene disciolta nelle riserve d'acqua locali.
di Marco Triolo
Pretendere di rifare un film di George Romero e trarne un prodotto all'altezza dell'originale è un po' come girare un remake di Hitchcock
convinti di poterlo eguagliare in tensione: se Hitch era infatti il
maestro della suspence, Romero, nei suoi anni migliori, era quella
della paranoia. L'originale “La città verrà distrutta all'alba”
è tra i migliori esempi di come il regista fosse in grado di costruire
un clima di claustrofobia e sospetto con pochi soldi ma grande
mestiere, riuscendo nel contempo a trattare argomenti politicamente
scottanti come il ruolo dell'esercito nella società e il distacco tra
le “alte sfere” e l'uomo della strada.
“La città verrà distrutta all'alba”
versione 2010 è invece tra i più lampanti esempi di come questa ondata
di remake che ha invaso Hollywood sia più spesso dannosa che salutare. Il film di Breck Eisner
è ben girato, ben fotografato, ben montato: tutti valori che oggi sono
la norma, visto che in America si lavora con budget che difficilmente
consentono errori sotto il punto di vista tecnico. Eppure, nonostante
la professionalità esibita, è anche una pellicola inutile, un
banale survival horror dove regnano i cliché, una tediosa ripetitività,
e dove sono totalmente assenti l'approfondimento sociale e politico
presenti invece nel film originale. D'altronde, non è nemmeno questo il problema.
Prendiamo, ad esempio, “L'alba dei morti viventi” di Zack Snyder, remake di “Zombi”:
nell'originale di Romero, a una messa in scena magistrale si univa un
discorso sul consumismo – con gli zombi che tornavano costantemente al
centro commerciale – assente, o per lo meno trascurabile, nel film di
Snyder. Eppure, “L'alba” funzionava perfettamente grazie a personaggi
interessanti, una serie di idee azzeccate – chi non ricorda i
siparietti con l'armaiolo sul tetto di fronte al mall? – e un'atmosfera
che rispettava alla lettera la disperazione romeriana, quel senso di
disfatta totale della razza umana, trovatasi ad affrontare una crisi
globale irreversibile.
Ecco, il problema di questo nuovo remake è che non c'è nulla di tutto
ciò: non ci sono idee di regia che restino impresse, ma tutto si
assesta su un livello medio da thriller adolescenziale.
Mancano personaggi interessanti, e il fatto che come sempre ormai si
scelgano attori tutti belli e pulitini non aiuta di certo
l'identificazione del pubblico. Il gruppo di protagonisti fugge dalla
detenzione dell'esercito, che sta cercando di isolare una cittadina
dove si è sparso per errore un micidiale virus che rende la gente
pazza. Da lì, comincia una serie infinita di episodi quasi slegati tra
loro: i nostri trovano un veicolo, finiscono in una trappola tesa dal
“crazy” di turno e poi fuggono, lasciandosi dietro una scia di
cadaveri. E avanti così.
C'è da dire, poi, che Romero aveva saggiamente deciso di distanziare
visivamente il suo film dalla serie degli zombi, presentando le vittime
del virus come delle persone normali che progressivamente perdono le
rotelle, anziché mostri imbrattati di sangue. Cosa che invece,
puntualmente, fa Eisner. Il riferimento principale è ovviamente “28 giorni dopo”
(figlio a sua volta del “Crazies” originale): ma la scelta non paga,
perché in questa maniera sappiamo sempre perfettamente quali sono i
contagiati, e così la paranoia se ne va a spasso.
Inoltre, come spesso accade nei film sulle epidemie di oggi, viene
totalmente a mancare la coerenza: perché alcuni matti sembrano usciti
da “Non aprite quella porta” e altri invece hanno un aspetto normale?
Di Romero manca inoltre il tono beffardo con il quale si prendeva gioco
dei militari e dei politici, rappresentati i primi come una forza di
bruti senza cervello incapaci gestire un'emergenza che è già fuori
controllo, i secondi come dei privilegiati che decidono delle vite di
migliaia di persone comodamente chiusi nel loro ufficio, a migliaia di
chilometri di distanza. Nella versione di Romero, alla fine sono i
militari stessi che, per la loro connaturata incapacità di ascoltare e
ragionare, causano la distruzione dell'antidoto, ultima speranza di
salvezza. Nel film di Eisner, i militari sono sullo sfondo, si vedono
pochissimo e non hanno peso nella vicenda, tutta incentrata sui
fuggiaschi. Purtroppo, in questo modo si perdono tutti i motivi
d'interesse e si finisce per guardare con insistenza l'orologio, sicuri
che, una volta a casa, potremo infilare il DVD nel lettore e gustarci
ancora una volta l'originale.