

Il sospetto

In una piccola cittadina danese di provincia, a pochi giorni dal Natale, il quarantenne Lucas sembra ormai prossimo a riprendere il controllo della propria vita. Dopo un drammatico divorzio l'uomo ha una nuova fidanzata, un nuovo lavoro e sta per riallacciare i rapporti con il figlio adolescente Marcus. Ma la situazione precipita a causa di una piccola bugia e mentre la neve continua a cadere uno strano morbo si diffonde nella cittadina. La comunit cade in uno stato di prostrazione e isteria, mentre Lucas deve lottare per la sua vita e la sua dignit.

Quando un attore è troppo bravo per il film che interpreta, succede a
volte che si finisca per sopravvalutare detto film. È quello che più o
meno è successo con Il sospetto di Thomas Vinterberg. Il co-fondatore del movimento Dogma e regista di un capolavoro come Festen racconta qui l'odissea di un uomo innocente a cui viene fatta un'accusa
infamante: quella di essere un pedofilo. Essendo il paese in cui vive
molto piccolo, Lucas diviene oggetto di un isolamento violento che ne
mina la psiche.
L'attore di cui parlavamo poc'anzi è Mads Mikkelsen.
Sembra banale usare un aggettivo come “intenso”, ma è proprio quello
che viene in mente vedendo l'impeccabile performance del danese, miglior attore a Cannes, che cattura lo sguardo ogni qual volta è al centro del quadro, abbattuto, sanguinante eppure insospettabilmente vitale. Mikkelsen è il cuore di un film che altrimenti non si reggerebbe, purtroppo, sulle sue gambe.
Vinterberg gira tutto in autunno e inverno, avvolgendo il film in
un'atmosfera di gelida sofferenza interiore che si riflette nel giallo
delle foglie. E pone a confronto il pudore spesso ipocrita di una
comunità che condanna un uomo senza pensarci due volte, ma allo stesso
tempo vive ancora appoggiandosi a usanze barbare e violente come il rito
di passaggio all'età adulta che coinvolge i giovani in una battuta di
caccia al cervo. Le scene di caccia, disseminate per tutta la
pellicola, fanno da parallelo alle vicende di Lucas, a sua volta
braccato come un animale. Non a caso il titolo originale,
Jagten, vuol dire proprio “caccia”. Che ha senso, a differenza di quello
italiano: non c'è mai alcun “sospetto” nel film, né da parte del
pubblico, consapevole senza dubbio dell'innocenza di Lucas, né degli
altri personaggi, che sono sicuri della sua colpevolezza.
Il problema del film sta nella sua natura spesso ricattatoria:
Vinterberg ne fa passare di tutti i colori al suo protagonista,
picchiato, brutalizzato e perseguitato. Inoltre, il primo atto in cui
Lucas, semi-depresso per un divorzio e il licenziamento, sembra
riprendersi quando trova l'amore e ottiene la custodia del figlio
adolescente, pare fatto apposta per far risaltare ancora di più la
tragedia umana a seguire. Troppo facile: un po' più di rigore nella
sceneggiatura – che spesso scade in dialoghi superficiali come le
psicologie dei personaggi – avrebbe aiutato certamente a digerire meglio
la zuppa.
Di Marco Triolo