Il pescatore di sogni
la storia del dottor Alfred Jones, uno scienziato introverso che lavora per il Ministero della Pesca e dell'Agricoltura britannico. Il suo mondo, fatto di un lavoro ormai monotono e un matrimonio stagnante, è improvvisamente messo sottosopra quando si ritrova, suo malgrado, coinvolto in un progetto escogitato da uno stravagante sceicco che sogna di realizzare qualcosa di apparentemente impossibile: introdurre la pesca al salmone negli aridi altipiani dello Yemen. Quando alla risoluta portavoce del Primo Ministro inglese, Patricia Maxwell, alla disperata ricerca di una buona notizia sul Medio Oriente per distogliere l'attenzione dall'ultimo fallimento mediatico, giunge voce del piano dello sceicco il Governo britannico decide improvvisamente di sposare il progetto. Il razionale dottor Jones viene a poco a poco conquistato dal carismatico sceicco e dalla sua visione mistica del mondo, e si prende una cotta per la sua assistente, Harriet Chetwode-Talbot, che lo porterà a prendere delle decisioni importanti per cambiare la sua vita.
Quando ha a disposizione una sceneggiatura che funziona, Lasse Hallström sa ancora realizzare cinema di alto livello. In carriera ne ha fatti di
film scentrati o melensi, ma è anche saputo arrivare al cuore del
grande pubblico con prodotti di valore e dalla messa in scena
inattaccabile, come “La mia vita a quattro zampe”, “Le regole della casa del sidro” o “Chocolat”. Questo suo ultimo “Il pescatore di sogni” può essere senz'altro annoverato tra i suoi sforzi più riusciti, in quanto coniuga con perfetto equilibrio storia e messa in scena.
Alla base di tutto c'è il romanzo di romanzo di Paul Torday, adattato per il grande schermo da quel Simon Beaufoy che negli ultimi anni si è dimostrato uno degli sceneggiatori più
affidabili e “furbi” del panorama internazionale (ha scritto “The Millionaire” e “127 ore”).
In questo caso lo scrittore costruisce una narrazione piuttosto
classica ma perfettamente funzionale allo sviluppo dei caratteri dei
personaggi principali, delineati con enorme lucidità. Soprattutto la
figura di Alfred Jones, il saccente esperto di pesca che
metterà nel progetto di portare i salmoni nello Yemen molto più di
quanto avrebbe immaginato, è un piccolo gioiello di simpatia e umanità
trattenuta, un personaggio dolcissimo e gentile, a cui è impossibile non
affezionarsi. A dargli volto e profondità emotiva un Ewan McGregor che, dopo la bellissima prova d'attore in “Beginners” (inedito in Italia, qui la nostra recensione), conferma di stare attraversando un momento di grande creatività che potrebbe finalmente proclamarlo come attore definitivamente
maturato. Il ruolo di Jones rispetto al libro è stato appositamente
ringiovanito da Beaufoy per permettere a McGregor di interpretarlo, e la
scelta si è rivelata più che azzeccata. Accanto all'interprete di “Trainspotting”, una Emily Blunt che nella prima parte del film, quella più comica, è come sempre
spassosa. Man mano che la storia diventa più malinconica e romantica,
poi, l'attrice riesce a trasformarsi in solida e commovente spalla per
il processo di cambiamento del suo partner sul grande schermo. A
completare il cast una Kristin Scott Thomas finalmente tornata in abiti più leggeri e la buona presenza scenica della star egiziana Amr Waked.
Con questo eccellente materiale a disposizione Lasse Hallström ha costruito un film genuinamente romantico, molto fluido nella narrazione ed elegante nella messa in scena, grazie anche alla bella fotografia di Terry Stacey.
Soprattutto le parti ambientate in Scozia e nello Yemen (in realtà
girate in Marocco) riservano agli spettatori immagini di grande impatto
visivo. “Salmon Fishing in the Yemen” dimostra ancora una volta
che il cinema di sentimenti, quando ideato e realizzato con ingegno e
competenza, non deve per forza risultare melenso. L'ultima fatica del
regista due volte candidato all'Oscar è un film romantico ma non
inutilmente zuccheroso, capace di intenerire e conquistare con una
qualità troppo sottovalutata come la dolcezza.
di Adriano Ercolani