Il Dilemma
Due amici fraterni sono anche soci in affari. Il loro rapporto si incrinerà a causa dei tormenti di uno dei due, che ha visto la moglie dell'amico al ristorante in atteggiamenti intimi con un altro uomo e non sa se informare il partner o tenersi tutto per sé.
Ron Howard ha ormai
consolidato una sua visione di cinema che si avvicina definitivamente a
quella classica. Il suo stile ha sviluppato, sia nei prodotti più
commerciali che nei lungometraggi maggiormente personali, un ritmo di
narrazione e una semplicità di messa in scena precisamente
identificabili. Così, anche quando si accosta alla (presunta) leggerezza
della commedia, anche quando lavora con attori invece abituati a ben
altri ritmi e livelli di profondità, lui mantiene ormai intatto il suo
modo di fare cinema. E' questo il caso de “Il dilemma”, lungometraggio che vede protagonisti Vince Vaughn e Kevin James, e che proprio nello sguardo lucido di Howard possiede la sua forza primaria ed anche il suo limite:
quello cioè di non andare per niente incontro ai gusti superficiali del
pubblico di cassetta, che infatti lo la bocciato al botteghino
americano.
Comprensibile che “Il dilemma” non abbia avuto successo: di
fronte alla superficialità ridanciana a cui ci ha purtroppo abituato
ultimamente la commedia mainstream hollywoodiana, il film di Howard si discosta nettamente per profondità di introspezione ed attenzione alla psicologia dei personaggi.
Già, perché dietro l'involucro del genere si sviluppa con notevole
capacità di analisi una serie di discorsi che riguardano l'America
contemporanea: l'incapacità di crescere e assumersi le proprie
responsabilità – sotto questo punto di vista lo schema del “buddy movie”
tra i due attori principali è raccontato in maniera ambigua – il
terrore di impegnarsi in un rapporto sentimentale a lungo termine, la
difficoltà a trovare un proprio posto preciso in una società che a
livello economico e sociale offre sempre meno sicurezze. Tutto
questo Ron Howard lo mette in scena con un ritmo interno alle scene che
lascia totale spazio alla definizione dei sentimenti, al
disegno dei caratteri, alle sfumature del loro interno emotivo. Se una
sequenza, per raccontare tutto questo, deve durare più della media che
il cinema di oggi propone, questo cineasta se ne frega beatamente e ci
propone la sua idea con un'integrità, un'onestà che lo rendono davvero
un autore degno di ammirazione, anche quando lavora su commissione.
In più, come detto Howard in quasi ogni suo film tenta di gettare uno
sguardo non conciliatorio sull'America contemporanea e/o sulla sua
storia recente: da “Apollo 13” (1995) a “Ransom” (1996), da “A Beautiful Mind” (2001) a “Cinderella Man” (2005), passando per molti altri film, il cineasta ha tentato di scandagliare le ambiguità storiche, politiche o semplicemente sociali del suo paese. “Il dilemma”
non si discosta da questo, in quanto mette in scena identità molto
frammentate che devono combattere in un sistema economico che ormai non
garantisce più il successo facile, tutt'altro.
Come al solito poi Howard si dimostra un grande direttore di
caratteristi, e anche in questo film riesce a dosare al meglio le
capacità anche istrioniche dei quattro attori, soprattutto dei comici
Vaughn e James. La palma della migliore in scena noi comunque la daremmo alla sempre più bella e sensibile Jennifer Connelly,
alle prese col personaggio più “comune” e per questo più difficile da
delineare con veridicità e calore empatico. Anche se non sembra
appartenere ad un'idea contemporanea di commedia, “Il dilemma” è un film affascinante, ottimamente confezionato – menzione di merito per la fotografia di Salvatore Totino – doloroso e per nulla buonista nel mostrarci la frammentazione emotiva
e mentale dell'uomo comune. Un film da non prendere con le molle, e per
questo ancora più prezioso. Grande Ron Howard.