Hugo Cabret
L'orfano Hugo Cabret vive una vita segreta tra le mura della stazione di Parigi. Quando incontra una strana ragazzina e l'eccentrico padrone del negozio di giocattoli della stazione, il suo anonimato svanisce e ciò mette in pericolo il suo più prezioso segreto.
Se pensavamo che il genio cinematografico di Martin Scorsese non avrebbe più potuto sorprenderci, ecco arrivare “Hugo Cabret” a dimostrare che ci sbagliavamo. Nel bene e nel male questo adattamento scritto da John Logan e tratto dal romanzo di Brian Selznick è il primo vero tentativo del cineasta di realizzare una “favola”
edificante, cosa che in passato aveva tentato soltanto nel prologo di “Alice non abita più qui”, datato addirittura 1974.
Dopo la prima, straordinaria inquadratura che apre il film – e che
risulta programmaticamente posticcia per inserire subito la storia
dentro le coordinate estetiche della fiaba contemporanea – parte la
vicenda del piccolo Hugo Cabret (Asa Butterfield),
bambino che vive dentro le mura della stazione ferroviaria di Parigi. A
livello narrativo, la partenza del film non è di certo esaltante:
Scorsese sembra indugiare troppo sull'atmosfera fantastica della messa
in scena, il ritmo non decolla, e una volta tanto le musiche melodiose
di Howard Shore vengono adoperate in maniera
eccessivamente invasiva. Ecco però che il flashback che racconta la
storia passata di Hugo e di suo padre (un convincente Jude Law)
comincia a scaldare i sentimenti dello spettatore, in attesa che si
riveli l'anima principale del film. Man mano che infatti si dipana la
vicenda del ragazzo e il suo rapporto con il misterioso anziano George (il sempre efficace Ben Kingsley) iniziamo a percepire che “Hugo Cabret” è una riflessione poetica ed appassionata sulla storia del cinema, sulla magia della creazione artistica, sul potere dell'immaginazione e sulla forza della visione.
E allora si capisce anche perché Scorsese ha voluto girarlo in un ottimo
3D: vedere i primi filmini dei fratelli Lumière o le prime invenzioni
di Méliès riportati sul grande schermo da questa nuova tecnologia
diventa un'esperienza che fonde passato e presente in un unico
calderone che però esplicita con totale poesia la potenza evocativa del
Cinema con la “C” maiuscola. E anche se la seconda parte del
film soffre di alcuni svarioni di ritmo e di una certa melensaggine,
glieli possiamo perdonare senza problemi, perché l'amore che Scorsese ha
messo in questo suo bizzarro e sfavillante lavoro è tangibile e
ammirevole.
“Hugo Cabret” è un lungometraggio tutt'altro che perfetto:
come favola è narrativamente debole e forse è troppo teorico nel suo
messaggio: ma quando mescola con audacia assoluta omaggio cinefilo al
passato, visione di cinema articolata, discorso su dove sta andando e
insieme dove è nata la nostra amatissima Settima Arte, è praticamente
impossibile non emozionarsi.