Habemus Papam
Il film si apre alla morte del Pontefice e e con il Conclave che deve eleggere un nuovo Papa. Ma il neoeletto (Michel Piccoli) è preda dei dubbi e delle ansie, depresso e timoroso di non essere in grado di assolvere il suo compito. Il Vaticano chiama allora uno psicanalista (Nanni Moretti) perché lo assista e lo aiuti a superare i suoi problemi.
Il tentativo era enorme, coraggioso, complicatissimo da gestire con equilibrio. E infatti Nanni Moretti con “Habemus Papam” ha realizzato un film tanto affascinante quanto incompiuto.
A mancare principalmente è soprattutto un vero e proprio legame tra i
due protagonisti della vicenda narrata, e soprattutto tra quello che
rappresentano.
Ma procediamo con ordine: il regista con notevole lucidità e senso estetico – il
film nella prima parte è bellissimo da vedere, grazie anche alla
fotografia di Alessandro Pesci e ai costumi di Lina Nerli Taviani – mette in scena la vicenda personale di Melville (Michel Piccoli)
uomo di fede che, eletto Papa, non riesce a sopportare il peso di tale
responsabilità e tracolla a livello sia emotivo che psicologico. A quel
punto viene chiamato uno psicanalista (Moretti) che vorrebbe tentare di
aiutarlo prima di tutto con la sua scienza.
Dato questo spunto potenzialmente esplosivo, la sceneggiatura poi però
non mette mai veramente a confronto i due personaggi, lasciando che
ognuno di loro sviluppi il proprio discorso senza che ci sia una
comparazione esplicita (e necessaria a livello puramente narrativo) tra
le due parti. L'esplorazione del percorso interiore di Melville, che
dovrebbe essere la parte portante del film, a conti fatti forse è quella
più debole: la vita interiore di quest'uomo – soprattutto il suo dover
fare i conti con i propri problemi irrisolti - il rapporto con una fede
che dovrebbe essere di supporto ma non riesce – viene mostrata con poesia ma non delineata in maniera chiara. Alla fine il percorso umano ed emotivo di Melville viene più accennato che realmente affrontato.
Diversa la questione per il ruolo interpretato da Moretti: il suo
rapporto con gli altri vescovi del Conclave dietro la superficie della
commedia tenta di far passare con forza una visione della Chiesa che ha bisogno di maggiore apertura con l'esterno,
con i tempi che sono cambiati, con le influenze sia sociali che mentali
di una società “aperta”. Tale messaggio, raccontato all'inizio con
momenti davvero spassosi e con una finezza esemplare, non viene però
concluso con una presa di posizione decisa, e col procedere della storia
perde anch'esso la sua spinta propositiva.
“Habemus Papam”
soffre insomma di quello che è un po' il problema di tutto il cinema di
Nanni Moretti da molti anni a questa parte – esclusa l'eccezione
geometrica di “La stanza del figlio”,
film molto più “costruito” degli altri e proprio per questo più
personale – il regista ha sicuramente tanto ancora da raccontare, ma
non sembra più sapere come farlo con lucidità, o meglio con la forza
dirompente che prima possedeva. Moretti pare trattenersi, cercare un tono conciliatorio, e questo frena senz'altro la spinta propositiva del suo cinema.
Quando le sue idee le urlava in faccia al pubblico anche a costo di non
incontrarne il favore – vedi ad esempio un capolavoro come “La messa è finita”,
autentica, tragica dissertazione sul rapporto tra uomo e fede – sapeva
come arrivare dritto alla mente e al cuore di chi era disposto ad
ascoltarlo. Adesso magari raggiungerà anche più spettatori, ma con
messaggi molto più edulcorati, quindi maggiormente inermi.