Green Zone
Nel 2003, durante la prima fase dell'occupazione americana dell'Iraq, l'ufficiale Roy Miller (Matt Damon) e la sua squadra vengono incaricati di rintracciare le armi di distruzione di massa che si pensa siano nascosti nel deserto. Invece di scovare i micidiali ordigni si ritroveranno immischiati in una serie di losche operazioni organizzate dai servizi segreti che finiranno per cambiare completamente l'obiettivo della loro missione...
di Andrea D'Addio
Il cinema d'azione americano post 11 settembre si può dividere in due
grossi filoni. Da una parte giocattoloni di grande intrattenimento (ma
non per questo negativi) che riflettono la voglia di svago di alcune
fasce di pubblico. Pellicole che riscuotono quasi sempre ottimi
incassi, sempre più disinvolte nel voler semplicemente apparire e
destinate a durare a lungo. Parallelamente a questi lavori però,
abbiamo anche un cinema d'azione specchio degli umori della società.
Violento, pessimista, realistico nella sua irrealtà e, in alcuni casi,
anche capace di utilizzare il linguaggio dei media contemporanei, come
le immagini sporche dei video amatoriali che tanto vanno su Youtube e non solo. Ecco quindi film diversi, ma comunque legati tra loro, come “I figli degli uomini”, “Cloverfield”, i reboot di “Batman” e naturalmente “La guerra dei mondi” e “Munich” di Steven Spielberg. Paul Greengrass fa parte del secondo gruppo, quello che il cinema d'azione lo vuole potente, crudo, tremante. Era così il suo “The Bourne Ultimatum”, vero capolavoro forse non abbastanza apprezzato, ed è così “Green Zone”, la sua terza collaborazione con Matt Damon.
Siamo in Iraq nel 2003, pochi giorni prima che Bush arrivi a Baghdad con il suo storico “mission accomplished” . L'ufficiale americano Roy Miller (Damon) trova
accidentalmente le prove che la strategia di guerra adottata dagli
Stati Uniti per ristabilire l'ordine nel Paese, si basi su una serie di
bugie finalizzate ad avere il controllo totale sia delle
comunicazione che dei modus operandi in tempo di guerra (ovvero
tortura, infiltrazioni, inganni). C'è una vera e propria guerra interna
di potere e le premesse (l'attualità lo dimostra) non potranno che
portare ad un protrarsi del conflitto e delle vittime mediorientali e
statunitensi. Su un contesto storico reale, si inserisce una storia di
finzione (quella di Miller) a sua volta basata su fondamenti di verità.
L'ispirazione della sceneggiatura di Brian Helgeland (“L.A. Confidential”, “Mystic River”) è tratta dal bestseller del 2006 “Imperial Life in the Emerald City” del giornalista Rajiv Chandrasekaran, spietata analisi della perdente strategia adottata dagli USA nella prima parte della guerra in Iraq.
“Green Zone”
riesce a coniugare il contenuto, ovvero una critica non
anti-militarista in senso assoluto, ma relativa alle modalità con cui
l'invasione è stata compiuta, con una forma che fa tenere il fiato
sospeso dall'inizio alla fine. Da una parte gli aperitivi a
bordo piscina di politici e speculatori, dall'altra una città
distrutta, la corsa sul filo della vita di giovani militari che pensano
di fare la cosa giusta mentre dall'alto vengono mossi come pedine dai
burattinai della politica. A Grengrass (che ha girato il film in
Marocco, Spagna e Inghilterra) basta un'immagine per fare capire come
appaia la guerra da dietro la vetrina del benessere, mentre con la sua macchina da presa si butta a capofitto tra le macerie.
Fotografia sgranata, immagine sempre tremolante come se un cameramen si
trovasse sempre dietro al protagonista per riportarcene tutte le azioni
(d'un tratto siamo noi sul campo di guerra), tagli di
montaggio continui alternati lunghi piani sequenza, dialoghi che
corrono al sodo perché non c'è tempo da perdere, quella bomba ad
orologeria chiamata Medio Oriente è pronta ad esplodere ed in questo
caso il conto alla rovescia l'hanno fatto partire gli stessi
artificieri.
Con "Green Zone”
veniamo portati per mano nell'Iraq anno-meno-uno, non più in guerra tra
eserciti, ma ancora non in ricostruzione. Guerriglia, gioco sporco. Si
beve tutto d'un fiato. Angoscia, rabbia, azione. Matt Damon, finalmente
non più soldato Ryan da salvare. Vale anche un paio di visioni, ce lo
ricorderemo a lungo.