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Take Five: ferocia e disperazione nel gangster movie a basso budget

Nei cinema il noir di Guido Lombardi: “Qui non siamo a Gomorra”

06.10.2014 - Autore: Pierpaolo Festa
Low budget o no-budget? Espressioni quantomai attuali nel cinema italiano contemporaneo fatto da giovani autori che con coraggio e testardaggine cercano di avventurarsi con la macchina da presa in storie di qualità. L'assenza dei soldi inevitabilmente ne incoraggia creatività e voglia di sperimentare.

Il nuovo caso a basso budget si chiama Take Five diretto da Guido Lombardi, che ai microfoni di Film.it rivela alcuni dei segreti produttivi che gli hanno permesso di realizzare un film che gioca con il genere noir avanzando su più toni: dalla commedia nera al gangster movie tinto di sangue. “Sono ormai un esperto in materia di basso budget - afferma il regista - dato che il mio film precedente Là-Bas era girato veramente con pochissimi soldi. Una cosa l'ho imparata da Abel Ferrara: mi ha insegnato come chiedere agli attori di presentarsi sul set con i loro abiti indosso. In modo da non spendere soldi in costumi di scena e allo stesso tempo farli sentire a proprio agio nell'interpretare il personaggio”. 

Guido Lombardi sul set di Take Five
 
Doveva esserci Abel Ferrara dietro la macchina da presa di Take Five - “Per questo il titolo 'americano'” - spiega Lombardi. Alla fine l'autore di Pasolini ha rinunciato all'incarico lasciando il progetto nelle mani del regista napoletano. La storia di cinque criminali, ognuno con problemi e spaccati di vita particolari, che si alleano per una rapina. Il mondo della criminali legati alla camorra, la disperazione della povertà, un'ambientazione infernale e una serie di pistole pronte a urlare: “Ma non siamo a Gomorra” - avverte il regista. 
 
Mi chiedo, a proposito di creatività da low-budget, quanto un regista debba dunque avere la mentalità da criminale mentre sviluppa queste storie...
Il massimo che posso fare è rubare gli accendini agli amici fumatori! È vero però che mentre scrivevo il film ho ascoltato parecchi racconti di persone coinvolte in modo diretto o indiretto in diversi crimini, simili a quello che raccontiamo nel film. Take Five è un po' una summa di quei racconti. 
 
La leggenda vuole che l'idea del film sia venuta proprio a causa della mancanza di fondi per un altro progetto. È così?
Esatto. Gaetano Di Vaio e io stavamo scrivendo il romanzo "Non mi avrete mai" (Einaudi), che è il racconto del suo passato da criminale e dei suoi dieci anni in galera. Abbiamo pensato che poteva diventare un film, ma che non avremmo comunque avuto i soldi a disposizione per realizzarlo. A quel punto abbiamo scherzando pensando all'unisono: “facciamo una rapina”. Da lì è venuta l'idea centrale di Take Five.  

Preparazione di una scena sul set di Take Five
 
Girare al risparmio, a parte non spendere in costumi di scena, costringe i realizzatori a pensare al risparmio perfino in fase di sceneggiatura?
Sta tutto lì. La struttura di Take Five, con l'unità di tempo e luogo, deriva dal fatto che siamo andati al risparmio. Idem la scelta del cast: tutti amici che conoscevamo e che ci sarebbero potuti venire incontro. Abbiamo scritto la sceneggiatura pensando a quegli attori. L'ingegno sta nel trovare soluzioni per bypassare l'assenza di denaro. Non sempre si trovano. Sul set ovviamente devi rinunciare a movimenti spettacolari della macchina da presa che richiedono almeno un giorno di lavoro. 
 
A proposito di creatività, immagino che la sfida più grande sia stata mixare i toni: dalla commedia si passa al noir. Si ride durante il film, ma questo non esclude la presenza di tanto sangue...
Fino alla fine ho cercato di trovare il tono giusto. Nel film accadono tante cose, molte delle quali raccontate e mischiate a una serie di “elementi di fantasia”. Come dicevo è il riassunto di tante rapine, eppure che tutte queste cose possano accadere in un'unica rapina forse non è possibile. Lo scopo però era giocare con il genere cinematografico del gangster movie. Lo scenario è quello di Gomorra, ma Take Five non è un film “gomorriano”.
 
Anche perché a un certo punto mostri uno dei gangster in preda a stress e depressione. Una mossa narrativa tanto interessante quanto realistica. Una cosa che non si vede spesso...
Assolutamente. Spesso i gangster movie raccontano i personaggi un po' come se fossero delle funzioni. Scavare dentro di loro, tirare fuori la loro umanità secondo me gli restituisce tridimensionalità. È più realistico che vederli soltanto cinici e spietati. Non nego nemmeno che alcuni criminali possano anche essere molto divertenti, questo ovviamente non esclude la violenza delle loro azioni. Mostrare solo quell'aspetto di spietatezza non significa fare un buon servizio alla storia né al racconto della realtà. 

Dentro il caveau: alcuni dei protagonisti di Take Five
 
Sulll'ambientazione gomorriana: in quelle storie Napoli viene descritta come l'inferno in cui è in atto una guerra. Uno scenario apocalittico a cento chilometri da Roma...
Sì e non sono d'accordo con questo racconto di Napoli. Gomorra ha avuto il grande merito di portare alla luce le atrocità di quel mondo criminale. Allo stesso tempo ha creato una specie di mostro biblico, considerata anche la scelta del titolo. L'obiettivo di Take Five era raccontare la criminalità della camorra da un punto di vista interno e non soltanto dalle pagine di cronaca vera. Giocare con i generi mi ha permesso di raccontare anche il lato umano di questi personaggi e la loro intrinseca disperazione. 

Off Topic, alla fine la domanda tradizionale è: qual era il poster che avevi in camera da ragazzino?
I Goonies. 
 
Take Five è attualmente nelle sale con Microcinema Distribuzione.

Per saperne di più
Guardate il trailer
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