NOTIZIE

Sport e dramma all'americana, a (terzo) tempo di rugby

Il giovanissimo regista Enrico Maria Artale ci racconta Il terzo tempo

Il terzo tempo - Lorenzo Richelmy, Stefano Cassetti

22.11.2013 - Autore: Pierpaolo Festa
Quanto il rugby può essere cinematografico? Quanto può essere coinvolgente per lo spettatore? Enrico Maria Artale, regista ventinovenne de Il terzo tempo non ha dubbi: “Credo che sia veramente cinematografico come sport. Perché il rugby ha un vantaggio, una spettacolarità legata ai corpi: anche se non capisci le regole per bene, in realtà, puoi lasciarti emozionare dalle espressioni dei personaggi nei primi piani e dalla loro fisicità. In tanti altri sport, se ti perdi un passaggio smarrisci anche il filo narrativo”.

Presentato in Concorso nella sezione Orizzonti del Festival di Venezia, Il terzo tempo è arrivato nei cinema italiani grazie a Filmauro che è entrata a supportare la produzione a meno di un mese dalle riprese. Aurelio De Laurentiis è un uomo di cinema e un uomo di calcio. Contrariamente a quanto ci si possa aspettare (considerati i suoi tradizionali appuntamenti cinematografici natalizi) è anche un businessman in cerca di nuove avventure imprenditoriali. “La Filmauro è arrivata al progetto poco prima che iniziassimo a girare. Inizialmente avevamo quasi sicura la copertura dei fondi. Con loro è arrivata più tranquillità. Sul set ci hanno lasciati liberi, in sala di montaggio, invece, ci hanno regalato preziosi suggerimenti”.



Immagino che un giovane regista alle prime armi possa trovarsi, come dire, un po' in tensione quando si cerca l'approvazione di un produttore di questo calibro...
Ero molto spaventato. Almeno all'inizio. Poi mi sono rasserenato. Aurelio ci ha subito dato qualche dritta sul ritmo del film, indirizzandoci verso la strada giusta. Continuava a dirmi: “Hai una disarmonia troppo forte. Così spiazzerai il pubblico. Non in senso positivo: lo orienterai in un modo e poi lo porterai da un'altra parte”. Grazie a lui Il terzo tempo comincia come un film molto oscuro e pian piano che va avanti il ritmo si alleggerisce.

Dunque una collaborazione pro-attiva. Sarà che considerata la sua personalità esuberante, avevo pensato a un rapporto spigoloso...
E' vero, lui ha questa personalità molto forte, ma è intelligente e ha capito che cercare lo scontro con me che ho meno di trent'anni... non gli avrebbe certamente dato soddisfazione!



E' vero che il tuo maestro è stato Daniele Luchetti? C'è qualche consiglio che ti ha dato per Il terzo tempo?
Assolutamente sì. Il suo è stato un supporto emotivo durante la fase di preparazione. Molto prima delle riprese gli ho fatto leggere la sceneggiatura e mi ha dato qualche consiglio. In un momento di insicurezza, Daniele mi ha aiutato a capire anche cosa significava questo progetto per me. Il terzo tempo era nato su commissione, non era la storia della mia vita. Daniele continuava a dirmi che avrei dovuto accettare il film, piuttosto che fare finta che fosse altro.

Nell'intervista pubblicata su Stile.it, Lorenzo Richelmy racconta di un processo creativo molto particolare. Dice che durante le riprese de Il terzo tempo vivevate insieme e che gli chiedevi sempre di arrivare sul set pieno di rabbia...
Eravamo co-inquilini vicino ai luoghi di riprese. Ricordo che mi alzavo la mattina e Lorenzo era già in piedi da un'ora. Era estate e lui vestiva di nero: aveva corso sotto il sole e non si era fermato per tre quarti d'ora. Un po' perché voleva caricarsi, un po' perché voleva sentire il peso del suo personaggio. Dunque arrivava sul set incazzato, talmente tanto che dopo i primi giorni ho cercato di farlo rilassare. Altrimenti sarebbe rimasto troppo pieno di tensione: se questa tensione riesci a portarla dentro di te allora è importante, se ti irrigidisce ti dà più problemi che altro.



Adesso Verdone lo ha chiamato per interpretare suo figlio nel nuovo film: qual è la cosa che ti ha particolarmente colpito di Lorenzo?
Che è pronto a darti tutto come attore. Durante la lavorazione de Il terzo tempo è cambiato molto. C'è una scena nei primi minuti del film in cui lo vediamo all'inizio delle riprese e subito dopo arriva una sequenza girata alla fine della produzione. Per noi che conosciamo il film, si nota tutta la differenza: all'inizio sembrava più piccolo e con meno spessore. Si rendeva conto di avere un film sulle sue spalle: il ruolo gli piaceva ma gli metteva ansia. È arrivato alla fine della lavorazione sempre pieno di tensione, ma finalmente in grado di controllarla e usarla a suo favore.

Enrico, la domanda che facciamo sempre: qual era il poster che avevi in camera da ragazzino?
Casa mia era piena di quadri che mio padre continuava ad appendere. Però in camera avevo il poster de Il padrino. Avevo tredici o quattordici anni.

Il terzo tempo è distribuito da Filmauro.

Per saperne di più:
Leggete l'intervista a Lorenzo Richelmy
Guardate il trailer
Leggete la recensione