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Salvatores a Mosca: “Educazione Siberiana il mio film più difficile”

Esame di russo per Salvatores: il suo film alla prova del pubblico del Festival di Mosca

27.06.2013 - Autore: Pierpaolo Festa,da Mosca
“Questo è un momento molto particolare per il cinema italiano che ha bisogno di aprirsi a nuovi mercati. E' possibile. Lo stiamo già facendo con Tornatore e Sorrentino. Finalmente i registi italiani pensano a storie più europee cercando di superare uno dei problemi del nostro cinema: quello di raccontare esclusivamente vicende tutte italiane”. Sono passati cinque mesi dall'uscita di Educazione siberiana e Gabriele Salvatores si presenta all'appuntamento a cui non può mancare: la proiezione della pellicola al trentacinquesimo Festival Internazionale del Film di Mosca.

I colleghi russi non gli risparmiano la loro opinione sulla la letteratura di Nicolai Lilin (il film è tratto dal suo omonimo romanzo), considerata "pura finzione". A quel punto il regista cita lo stesso effetto che Il talento di Mr. Ripley provoca a un'audience italiana, sottolineando però come questo suo film – il primo della sua carriera su commissione – sia stao quello più complicato. “Un film è come un figlio – racconta il regista a Film.it – Il Festival mi ha invitato in passato diverse volte. Sono felice di essere venuto qui con il mio figlio più difficile. Quello che ha bisogno di essere accompagnato”.

Gabriele finalmente abbiamo visto il film in versione originale inglese. Hai mai pensato di girarlo direttamente in russo?
C'è stato un momento in cui io e John Malkovich lo abbiamo proposto. Forse sarebbe stata la scelta più giusta. Alla fine la produzione ha insistito per l'inglese per rivolgersi a un pubblico più vasto. A quel punto volevo che i personaggi parlassero senza un accento particolare. Anche la produzione ha imposto l'accento russo. In un certo senso è stato come se mi avessero tolto una parte di controllo. E' stato faticoso. 

Dopo aver visto il film i russi continuano a chiederti se in Europa sono visti come dei “selvaggi”...
E' interessante però vedere questo film con un'audience straniera. Mi è capitato di partecipare a proiezioni con un pubblico tedesco e inglese: loro vedono i siberiani un po' come gli indiani Pellerossa, come una cultura destinata a sparire. Sicuramente la Russia ha dei lati oscuri, ma non mi sento certamente vicino ai pregiudizi di un certo tipo di letteratura americana degli anni Cinquanta e Sessanta. E nemmeno vicino a un tipo di cinema made in USA che descrive i russi come cattivi. Ho sempre amato questo Paese. Ricordo ancora la prima volta che sono venuto qui a Mosca quando facevo teatro, ai tempi dell'Unione Sovietica. C'era sempre qualcuno che ci teneva d'occhio. Almeno fino a mezzanotte. Dopodiché riuscivamo a liberarcene e incontravamo gli artisti dissidenti: quelli che avevano un'altra idea del teatro rispetto a quella che gli indicava lo Stato. Più torno in questo Paese più lo vedo cambiare. Mi fa piacere però vedere che il cinema russo fa grandi passi, soprattutto grazie a giovani registi.

In conferenza hai parlato del '68. All'epoca avevi diciotto anni. Com'eri? Hai nostalgia verso quel periodo?
Che ci crediate o meno, avevo i capelli lunghi fino alle spalle. Quello era un momento in cui stavo passando dalla musica al teatro. Eravamo una generazione con un sogno comune: cambiare il mondo. La musica non era più abbastanza per me, mi serviva qualcosa di più forte. Certamente il '68 ha provocato diversi drammi, ma sono fiero di averne fatto parte. In quel periodo non eravamo soli: sapevo bene che se facevo teatro in uno scantinato di Milano, c'era qualcun altro che faceva la stessa cosa a Parigi e perfino a Mosca. Oggi mi spiace molto vedere che i giovani sono più solitari e meno integrati. Credo però che ancora una volta toccherà alle nuove generazioni provvedere per il cambiamento. Non certo a gente della mia età che rimane attaccata alla poltrona...

A seguire il video esclusivo dalla nostra intervista, in cui il regista parla del suo prossimo film, incentrato sul tema dei supereroi