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On the Road: Michael Winterbottom presenta il tour dei Wolf Alice

La rock band, che ascoltiamo anche in T2: Trainspotting, immortalata nel film che ha aperto la sezione Generation della Berlinale

11.02.2017 - Autore: Pierpaolo Festa (Nexta)
Seguire una rock band in tour vuol dire anche avere accesso a un tipo di energia in grado di caricare la vita per lungo periodo. E paradossalmente di scaricarla allo stesso tempo, dato che vivere il tour comporta grandi sacrifici, fisici e mentali. Gli sforzi di ogni giorno, l'isolamento dal resto del mondo ma anche l'assenza di privacy. L'inglese Michael Winterbottom cattura queste emozioni, puntando soprattutto sul lato romantico del rock: il suo On the Road, ibrido tra documentario e film di finzione, segue la band dei Wolf Alice, con ogni probabilità un attimo prima che questi raggiungano il successo mainstream. 



Il film ha aperto la sezione Generation della sessantasettesima Berlinale. Ne abbiamo parlato con il regista, un autore che sceglie sempre di sorprendere se stesso e il pubblico, avventurandosi ogni volta in una prova cinematografica diversa: ha raccontato i prigionieri di Guantanamo, la psicosi di Casey Affleck in The Killer Inside Me e ha anche cercato di far luce sul caso Amanda Knox nel recente thriller The Face of an Angel

Qualche anno fa ci siamo parlati proprio qui alla Berlinale per The Killer Inside Me. Adesso ritorni con un film che apre Generation, la sezione che include titoli dedicati ai più giovani. Hai sentito un peso nei confronti di questo cambio generazionale nel tuo pubblico?
Non l'ho sentito. Volevo fare un film su una band e su cosa significa vivere in un bus durante un tour... un mondo isolato popolato da un gruppo di persone che girano l'Inghilterra insieme. Quello era il punto di partenza. La band è giovane, il loro pubblico è giovane e i fan sono giovani. È bellissimo rivolgermi a un'audience giovane, ma ho fatto questo film per me: ero interessato a questa storia. E io, come vedi, non sono più giovane!

Essere circondato da tanta energia giovanile ti contagia oppure catturarla è difficile?
È estremamente difficile! Pensiamo alla troupe che lavora con i Wolf Alice. Queste persone non sono giovani come i membri della band, anzi hanno praticamente la mia età. C'è un aspetto romantico nel vivere in tour, suonare davanti ai fan tutti i giorni e farti amare da loro. Essere costantemente in viaggio, questo è romantico. Ma si tratta di un lavoro durissimo per la loro troupe. Loro fanno questa vita da almeno vent'anni. Penso che sia uno sforzo impossibile, anche per questo mi sono assicurato di scendere dal bus alla fine del film... la verità è che fare cinema è molto più facile!


 
Perché hai scelto proprio i Wolf Alice per il tuo film? 
Mi piace il tipo di musica, quel loro rock alternativo. Erano perfetti per la storia che volevo raccontare: sono sempre in tour e vivono praticamente su un autobus. Alcune band musicali, le più piccole, si spostano con un furgone, le più grandi invece hanno un jet privato. Ma questa non è l'unica ragione, ci sono anche piccole coincidenze: i Wolf Alice hanno scelto il loro nome grazie ai racconti di Angela Carter contenuti nell'antologia La camera di sangue. Quel mondo letterario, il mondo della notte, mi interessa moltissimo. L'altra coincidenza è legata all'amicizia tra mia figlia e il bassista della band, Theo Ellis: erano compagni di scuola... praticamente ho conosciuto la band attraverso gli occhi di mia figlia. 

Da settimane ascolto Silk, il brano dei Wolf Alice che fa parte della colonna sonora di T2: Trainspotting. Penso che tu abbia catturato l'ultimo momento di privacy della band e che presto i Wolf Alice diventeranno mainstream...
Me lo auguro! Loro vorrebbero tanto. Il primo album che hanno inciso, My Love is Cool, è fantastico. Meritano il successo perché lavorano sodo: nel film mostriamo anche quanto siano intensi i loro soundcheck e come le platee siano sempre emozionate quando ascoltano la loro musica. 

On the Road segue i Wolf Alice come un documentario, ma c'è anche un trama: ci sono attori, personaggi che raccontano una storia cinematografica che si unisce al documentario...
Quando giri questi documentari, di solito non sai esattamente come sarà la versione finale del film.  Puoi avere un'idea e poi però cambia tutto. Da una parte volevo che il film mostrasse il lato pubblico dei Wolf Alice: la band, il loro pubblico e i posti in cui suonano. D'altra parte volevo catturare un'esperienza più intima: cosa vuol dire svegliarsi la mattina durante un tour? Come ci si prepara alla giornata? Che tipo di gente si conosce? Ci si può innamorare in tour? Mi interessava dare risposta a queste domande. Mostriamo la vita di una band che cerca momenti di intimità e li ottiene con grande difficoltà. Questo perché vivono in uno spazio pubblico molto piccolo. 


Che tipo di rapporto hai con la musica mentre crei un film? È corretto immaginarti come Jonathan Demme o Cameron Crowe... e cioè registi che ascoltano tanta musica per rimanere ispirati durante il lavoro? 
Non proprio, ma mi capita soprattutto in fase di montaggio, quando scelgo i brani che utilizzerò nel mio film. 

Nel tuo cinema hai anche mostrato il lato oscuro della musica: in The Road to Guantanamo ad esempio vediamo i prigionieri torturati proprio attraverso suoni sparati a tutto volume nelle loro orecchie...
Già, ero sconvolto anche io quando l'ho scoperto. La musica come punizione, una cosa terribile. Succede davvero! Mi sono ricordato di quel film anche quando ho girato On the Road: abbiamo seguito i Wolf Alice in diciotto concerti, molti dei quali filmati proprio davanti a uno degli speaker... anche quello può essere terribile, non certo una tortura, ma è stato tutt'altro che facile. 

 
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