Immaginate due schermi. Su uno scorrono le immagini di Carrie Bradhshaw di Sex and the City che insieme alla sua gang di donne in carriera sorseggia Cosmopolitan nel primo pomeriggio di un qualsiasi giorno lavorativo. Sull'altro invece ci sono le protagoniste di Orange Is the New Black, prigioniere in uniforme, donne la cui vita è distrutta, loro sì ex membri di vere gang che passano i giorni dietro le sbarre. Davanti a una scelta, quale dunque tra questi due schermi lascereste acceso? Quando Film.it pone questa domanda a Natasha Lyonne, la Nicky Nichols della serie non ha dubbi: "Guardare Sex and the City è come concedersi una buona fetta di torta. La serie è riuscita a raccontare i sentimenti delle donne e a creare personaggi femminili con problemi veri. Percepisci però una componente di 'fantascienza' quando guardi queste quattro donne parlare delle loro relazioni tra un cocktail e l'altro. Credo invece che Orange Is the New Black sia più vicino alla realtà e rappresenti l'inizio di una nuova era".
Una nuova era che l'attrice paragona all'esplosione dei Nirvana negli anni Novanta: "Kurt Cobain e la sua band esplosero col Grunge mettendo fine all'epoca del pop degli anni Ottanta: ecco, uso questo paragone per descrivere l'era di Netflix, quella in cui serie come la nostra sono in grado di mettere a nanna false sitcom o altri show che per quanto abbiano toccato temi e corde emotive forti rimangono comunque lontani dalla realtà".
Orange Is the New Black arriva con una nuova stagione, la sesta, ed entra ufficialmente nell'era del #MeToo, ma si tratta solo di un'etichetta, in realtà lo show nato cinque anni fa ne è stato uno dei pionieri: "eravamo già dentro quell'ottica, sin da prima della nascita del movimento". Ecco dunque una serie totalmente incentrata su un gruppo di personaggi femminili con caratteristiche che fino a qualche tempo fa sarebbero state pensate solo per gli uomini. Incontriamo Lyonne a Berlino, l'attrice lanciata a livello internazionale con American Pie è una delle bad girl di Hollywood - con un forte passato di droghe e alcool che le hanno causato seri problemi di salute - oggi ammette di essere stata "salvata da questo show".
In che modo Orange Is the New Black ti ha salvato?
Faccio questo mestiere da quando avevo sei anni. Lo scorso aprile ne ho compiuti trentanove. Per tanto tempo sono stata devota all'autodistruzione poi, quando sono entrata nel cast di questo show, ho sentito di fare parte di qualcosa di più grande. Le amicizie che si sono create con le altre donne sul set sono potentissime e per la prima volta mi sono sentita autentica. Sul set non devo scusarmi per come sono fatta: posso essere bizzarra o diversa, nevrotica, posso ridere o piangere, ma resto sempre me stessa. Le mie colleghe vedono tutte le mie personalità e mi vogliono ancora bene. Questo ha fatto scattare in me un amore enorme. L'ho imparato sul set di questa serie.
Woody Allen nel 1996 ti ha scelta per Tutti dicono I Love You. Molti dei tuoi colleghi si sono pentiti di aver lavorato con lui, vale anche per te?
Ti dirò, avevo sedici anni all'epoca: in quel film interpretavo sua figlia e durante l'intera lavorazione non ci sono stati momenti imbarazzanti o pericolosi. Ma a parte Woody Allen, so bene che queste cose accadono: io stessa ho parlato di quello che è successo a me, dell'essere stata molestata da un regista. E' un momento molto particolare a Hollywood, sono grata al Me Too perché ormai alcuni comportamenti non sono più tollerati. Lo stupro non è più tollerato. Se da una parte è così, dall'altra ti rendi conto che per anni persone come Roman Polanski e Harvey Weinstein hanno ottenuto riconoscimenti, vincendo anche diversi Oscar. E non sono stati i primi: Hitchcock non era di certo un gentiluomo con le sue attrici, Marlon Brando non lo è stato con Maria Schneider sul set di Ultimo tango a Parigi. Tutta la storia di questo ambiente è piena di orrori e abusi sulle donne che si sono estesi come un'epidemia. Una scala di ingiustizia enorme. Mi identifico con l'operato del Me Too e vorrei che la cosa si diffondesse oltre le mura di Hollywood, in tutte le realtà lavorative. E magari fino alla Casa Bianca, dove oggi siede un uomo che rende infernale la vita di molti.
In che modo cinema e TV possono dare una spinta alla rivoluzione di cui parli?
Su Netflix è possibile vedere il documentario The 13th di Ava Duvernay, un film che attacca chiaramente Nascita di una nazione di D.W. Griffith, accolto per quasi un secolo come un capolavoro quando in realtà è un horror o, per dirla meglio, uno snuff. Quel film è stato il primo a mostrare croci che bruciavano e da allora la vita ha imitato l'arte. Bisogna sperare che questo rapporto tra vita e arte possa andare anche nella giusta direzione. Aiutare a tollerare, capire. Per esempio trovo assurdo che la comunità LGBT debba ancora essere "umanizzata", che l'intero genere femminile debba esserlo: siamo nel 2018 ed è molto deprimente che queste cose non siano viste come verità assolute. Show come Orange Is the New Black mostrano che le prigioni femminili esistono e sono un posto dove si soffre. Mostrano personaggi molto veri. Ecco, serie come la nostra cercano la verità.
Quando avverrà la rivoluzione?
E' un momento bellissimo e terribile allo stesso tempo. Obama ci ha fatto credere che potevamo dare per scontato alcuni diritti di base: il diritto all'aborto, la parità di diritti anche per chi non è eterosessuale, il libero arbitrio sul proprio corpo. Ora invece indietreggiamo. La rivoluzione accadrà, non so quando o dove. O forse sta già accadendo in piccole dosi.
I tredici nuovi episodi di Orange Is the New Black - Stagione 6 sono disponibili su Netflix dal 26 luglio.