NOTIZIE

Michael Keaton: Il Caso Spotlight, le colpe del Vaticano e gli Oscar

A Roma per presentare il film sugli abusi dei preti sui minori, l'attore si dichiara 'fan' di Papa Francesco lasciando al reporter Walter Robinson le critiche più dure.

24.01.2016 - Autore: Mattia Pasquini (Nexta)
Si parla da tempo di Il caso Spotlight, il film dedicato alla celebre indagine del 2002 dei reporter del Boston Globe che sollevò il velo sugli abusi sessuali compiuti da preti e vescovi dell'arcidiocesi della città statunitense, allargandosi poi a tutto il mondo. Candidato agli Oscar per il Miglior Film, il Miglior attore non protagonista (Mark Ruffalo), la Miglior attrice non protagonista (Rachel McAdams), la Miglior regia (Tom McCarthy), la Miglior sceneggiatura originale e il Miglior montaggio, Il caso Spotlight ci offre l'occasione di incontrare Michael Keaton e di parlare con lui di giornalismo e delle recenti polemiche legate agli Oscar, ma soprattutto di conoscere il giornalista che diede origine a tutto, quel Walter 'Robby' Robinson che ancora oggi non si fa scrupoli nel sottolineare gli errori del Vaticano e la necessità di un vero giornalismo d'inchiesta

Il caso Spotlight celebra un giornalismo che non esiste più, minacciato dalla crisi e da internet, ma che effetto le ha fatto interpretare questo ruolo, oggi?
MICHAEL KEATON: L'ho considerato una benedizione, in un certo senso. Personalmente mi interessa molto il giornalismo: leggo i giornali, e guardo gli show televisivi di informazione più che seguire le news online magari. Così, quando si è iniziato a parlare di interpretare questo ruolo, ho trovato lo script molto interessante oltre che ben scritto. Anche il cast si annunciava notevole - prima di me era stato ingaggiato già solo Mark Ruffalo, e dopo di me han chiamato tutti gli altri - e amavo molto Tom McCarthy come regista, avendone visto tutti i film, tranne uno. Stante tutto questo, è stato poi il tema del giornalismo associato a quello degli abusi nella Chiesa cattolica a farmi decidere definitivamente.

Un giornalismo d'inchiesta che però sembra morto, anche negli Usa? Cosa stiamo perdendo?
WALTER ROBINSON: Negli Usa il giornalismo d'inchiesta è tenuto in vita 'artificialmente' potremmo dire. Internet ha strappato ai giornali i soldi necessari per realizzare certe inchieste e in molti hanno perso il loro posto di lavoro. Una follia, visto che gli stessi lettori confermano che quel che considerano più importante nei giornali sono proprio le indagini. Ma qualcuno deve pressare i poteri ufficiali e le istituzioni, come anche la Chiesa cattolica, perché si riconoscasno responsabili dei loro atti. Se non lo facciamo noi, chi lo farà? Se non lo facciamo, la democrazia morirà. Perché la gente non potrà essere informata né potrà farsi una vera opinione in merito anche a decisioni importanti.
MICHAEL KEATON: Un esempio perfetto viene proprio dalla mia città natale, Pittsburgh, in Pennsylvania, dove la sezione di inchieste del giornale locale è di sole sei pagine, nelle quali è impossibile inserire qualsiasi tipo di indagine giornalistica. Non a caso, nella vicina Flint, in Michigan, c'è stato un caso importante di inquinamento idrico da piombo che ha causato traumi cerebrali e successive difficoltà cognitive in molti bambini. C'è stata una persona sola che ha indagato su questo, Erin Brokovich, sostenendo che le città coinvolte da questo tipo di inquinamento negli Stati Uniti sono circa un centinaio. E tra queste potrebbe esserci anche Pittsburgh. Io credo che se ci fosse stato un vero e importante giornalismo investigativo avremmo avuto meno casi di questo tipo, di queste crisi.

Pur da appassionato, è stato impegnativo prepararsi al ruolo?
MICHAEL KEATON: Forse non dovrei confessarlo, per poter sembrare un attore migliore, ma la preparazione per il ruolo è stata resa molto facile dallo stesso Walter 'Robby' Robinson e dalla possibilità di passare del tempo con lui per assorbire le sue storie sulla propria vita, la propria carriera e tutto quanto ci fosse dietro il lavoro del Team Spotlight sul caso in questione. È stato meraviglioso per me - che sono naturalmente curioso, in particolare sul giornalismo e questo tipo di temi - potergli fare domande su tutto e assorbire quello che raccontava, dalla sua famiglia ai suoi hobby. Anche per cercare di comprendere meglio la sua persona e costruire il personaggio, al quale ovviamente ho aggiunto del mio, grazie anche alla familiarità con le redazioni e con il lavoro dei giornalisti avendone già interpretato alcuni in altre due occasioni (Cronisti d'assalto di Ron Howard, nel 1994, e la miniserie Live from Baghdad di Mick Jackson nel 2002, ndr). Oltre che per interesse personale, come appassionato appunto, purtroppo frustrato dal vedere molti orribili programmi televisivi di approfondimento. Credo sia una situazione generalizzata, che esiste anche in Italia, e vorrei poter capire l'italiano per leggere i giornali di qui per farmene una idea, ma non posso..

L'argomento degli abusi non è nuovo, ma sicuramente il film l'ha riportato al centro delle cronache. Si aspetta che succeda anche in Italia?
MICHAEL KEATON: Sinceramente credo che il film avrà un grande impatto. Un tema del genere non può non averlo. E ripenso quando, alla fine di una delle proiezioni con il pubblico, una delle vittime degli abusi mi ha avvicinato per dirmi di non aver mai confessato a nessuno di aver avuto questo tipo di esperienza con un sacerdote. Eppure il film non punta il dito contro la religione in generale, ma va al di là. Personalmente ho avuto una educazione cattolica e ho grande rispetto della fede e dei fedeli, anzi, una delle cose che mi ha colpito di più di questo film è proprio la perdita della fede da parte di molte vittime di questi sacerdoti. È una situazione che non riguarda solo Boston, ma interessa molti fedeli… Io sono un fan di Papa Francesco, credo stia facendo un lavoro difficile e lo ammiro per affrontarlo, ma il tema di certi abusi di potere da parte di chi dovrebbe esercitarlo in maniera diversa è una costante. Come accade per esempio con le forze dell'Onu, con i 'Peacekeepers' impegnati negli aiuti umanitari in molte zone dell'Africa che non sempre intervengono in casi di abusi tutelando chi ha bisogno di esser difeso, e diventando così, in un certo senso, complici essi stessi.
Io sono solo un attore, che ha la fortuna di interpretare questo ruolo, ma sono queste persone ad essere eroi, chi ha subito questi abusi e i giornalisti che ne hanno scritto, denunciandoli. Noi godiamo solo del frutto del loro impegno e possiamo cercare di dare il nostro contributo.

Oggi il Cardinale Law non è più a Santa Maria Maggiore, ma a Palazzo della Cancelleria, dopo una rimozione "morbida" dettata dal raggiungimento degli 80 anni. Tornerebbe a intervistarlo? E che effetto le ha fatto vedersi interpretato sullo schermo?
WALTER ROBINSON: Il Cardinale Law è stato trasferito in Italia nel 2002 e da allora non mi risulta che abbia più parlato a dei reporter, anche se io credo che sarei l'ultimo con cui vorrebbe parlare. Detto questo, io mi sento onorato di esser qui oggi e di essere stato interpretato da Michael Keaton, uno dei migliori attori del mondo. Quando me l'hanno comunicato sono stato felice, anche perché nel 1984, mentre ero caporedattore della cronaca locale del Boston Globe, lui interpretò proprio quel ruolo nel film di Ron Howard Cronisti d'assalto. E se non l'avete visto, recuperatelo! Era stato perfetto in quella parte. Come in questo caso, prendendo ogni dettaglio della mia voce, dei miei gesti, etc per rappresentare al meglio e con uno straordinario realismo quel che ero nel film.

E cosa pensa della Chiesa Cattolica oggi, nell'anno del Giubileo?
WALTER ROBINSON: Come tutti, ripongo grandi speranze in questo Papa. Ho grande rispetto per quel che sta cercando di fare. Ricordo sempre che una delle prime cose fatte dopo l'investitura è stata proprio quella di togliere a vescovi e arcivescovi le loro limousine private. Una delle quali - oltre a lussuose abitazioni - era assegnata al Cardinale Law, come ad altri cardinali americani.
Io credo che la Chiesa resti condizionata dai privilegi che certi ecclesiastici continuano ad avere e non completamente concentrata sulle questioni di fede. Io spero che possa cambiare anche in questo e che preti e vescovi possano concentrarsi sulle necessità dei bisognosi e delle loro famiglie e dei loro figli. E prego che sempre meno bambini vengano molestati. Penso inoltre, come molte delle vittime, che Papa Francesco non abbia fatto ancora niente di sostanziale per eliminare questi abusi, ma abbia solo compiuto alcuni passi. Quando è venuto negli Usa ha applaudito il coraggio degli arcivescovi statunitensi nell'affrontare questo tema, cosa che ho trovato profondamente offensiva, come molti nel mio paese, per l'opporsi della maggior parte dei vescovi ai cambiamenti, a meno di non avere una pistola alla tempia. Ancora molto, la maggior parte, rimane da fare, ma spero che questo Papa riesca a portare a termine il compito.

Tornando invece al cinema, e al boicottaggio degli Oscar per la mancanza di nomination 'black'. Ci sono ancora problemi in questo senso, secondo la sua esperienza?
MICHAEL KEATON: Non sono bravo a dare risposte brevi su certi temi, tanto meno su uno così importante e sentito come quello che riguarda le persone di colore e la loro discriminazione, del quale sento parlare sin da quando ero bambino e che sin da allora mi dava fastidio. Si tratta di un problema talmente più grande di quel che riguarda la questione legata agli Oscar. Un discorso molto complesso, ma insieme anche incredibilmente semplice che potremmo ridurre alla domanda se sia una cosa giusta o ingiusta. Non so se in Europa la situazione sia la stessa ovunque, ma probabilmente il problema oltre che nel background dei votanti è nel sistema stesso. Un problema che assume una importanza decisamente maggiore a livello mondiale, e che nel mio Paese costituisce ancora un tema molto sentito e attuale. Forse anche per questo non mi preoccupo granché della questione 'Oscar'; faccio quello che devo fare, ma il problema è altrove.