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Le donne di Winspeare, fronte comune contro la crisi

Intervista al regista di In grazia di Dio, in arrivo nelle sale dopo la première a Berlino

In grazia di Dio

26.03.2014 - Autore: Pierpaolo Festa
Quanto noi italiani siamo ancora in grado di rimboccarci le maniche e sopravvivere? Quanto siamo capaci di ritrovare un senso di unione con gli altri, scavalcando ogni divergenza di opinione per arrivare insieme ai fatti? Ma soprattutto come si fa oggi a raccontare la crisi al cinema senza forzare troppo la mano, allo stesso tempo invitando gli spettatori in sala? Ci prova Edoardo Winspeare, regista di In grazia di Dio, film presentato nella sezione Panorama del Festival di Berlino e adesso in arrivo nelle nostre sale. La storia di tre donne che devono riordinare le loro priorità quando tornano a vivere nella casa della loro madre (e nonna) nella campagna salentina, in seguito al fallimento della loro attività. Per una volta la crisi viene attraversata in pieno. Il regista non la schiva, anzi la affronta e dice: “La crisi è una cosa terribile, però può rappresentare l'occasione per cambiare la propria vita e migliorarla”. Le sue donne perdono ogni entrata economica, ma trovano la forza per riprendersi, tornando a lavorare la terra e persino al baratto.



Edoardo quanto ti sei lasciato guidare da queste donne? Quanto di quello che vediamo nel tuo film è accaduto fuori dal copione?
Ho girato centocinquanta scene in cinque settimane. Trenta di queste le ho tagliate. Mentre giravamo non abbiamo smesso di improvvisare: le battute cambiavano e il segretario di edizione impazziva. Conosco le regole ma le stravolgo spesso, anche in una struttura drammaturgica abbastanza tradizionale come quella del film. La verità è che mi sono lasciato ispirare dalle donne, dai conflitti tra di loro, dalla tenerezza e dall'amicizia. Era una cosa vitale per me, sebbene improvvisare richieda la necessità costante di avere uno sceneggiatore che rimanga al tuo fianco anche sul set.

Sei entrato in punta di piedi in questo relazionarti con le dinamiche femminili?
Moltissimo. Sul set ascolto molto, poi però a un certo punto arriva un momento in cui il regista deve bloccare la democrazia. Io vivo insieme agli attori (Celeste Casciaro, moglie del regista, e Laura Licchetta, figlia di Celeste) e ogni sera, prima di tornare a girare, parlavamo insieme delle scene e le sviluppavamo.

Queste donne incassano il colpo della crisi e velocemente si rimboccano le maniche e si adattano. Credi che un gruppo di uomini avrebbe reagito allo stesso modo oppure si sarebbero lasciati prendere dal panico?
Ora generalizzo un po', ma secondo me è più facile che le donne siano più fattive e abbiano più sangue freddo. Le donne reagiscono sempre e devono farlo per tanti motivi: in primis per sopperire ai fallimenti degli uomini e poi perché, dando la vita e avendo a che fare con i figli, sanno cosa vuol dire dare una seconda possibilità. Mi riferisco a quando si diventa genitori: ogni volta i padri sono rapidi a condannare i loro figli, le donne invece cercano sempre un'alternativa. Io racconto le donne del sud, le più forti, le custodi silenti della società.



Una delle cose più belle del tuo film è che lo hai girato in dialetto salentino. Hai esitato prima di prendere questa decisione?
In realtà faccio sempre le prove in italiano prima di girare. Eppure quando sento Celeste recitare in italiano con Laura provo una strana sensazione, dato che tra di loro nella vita parlano in dialetto.

Cosa hai scoperto preparando il film, quanto possiamo e vogliamo sopravvivere? Perché siamo uniti solo in quelle circostanze?
Perché forse da italiani è l'occasione per riscoprirci nella nostra caratteristica più forte e conosciuta: l'arte di arrangiarsi e reinventarci. Il nostro è un Paese che in pochi anni è diventato la quinta potenza industriale del mondo. Un Paese che ha fatto le rivoluzioni in maniera non guidata dall'alto.

Sempre a proposito di crisi, nel tuo film ogni volta che i personaggi guardano la TV, sentiamo sempre storie di panico legate al fatto che l'Italia potrebbe diventare come la Grecia...
Be' sì, c'è sempre l'incubo di sprofondare in una situazione come quella della Grecia. In certe zone dell'Italia siamo passati dal terzo mondo, abbiamo intravisto il primo mondo e poi siamo nuovamente andati a fondo. La verità è che non siamo mai diventati un vero paese occidentale. Mi improvviso per un attimo politologo ed economista: credo che il problema dell'Europa sia che tutti devono essere uguali. Non si approfitta delle caratteristiche di altri Paesi. Eppure noi abbiamo un altro tipo di capitalismo: più solidale, di matrice cattolica e non protestante né mercantilistica. Credo che forse saremmo bravi a sviluppare le caratteristiche economiche della diversità.



L'ultima inquadratura del film è molto potente e inneggia alla forza femminile e alla intesa tra donne. Quanto è stata improvvisata?
Quella è stata molto calcolata. Volevo finire così, con una deposizione: sembra quella di Gesù Cristo. È come una quadro. Per me non è importante girare sempre, l'importante è quello che si riprende: per questo abbiamo lavorato molto sulla composizione di quel finale.

Off-topic: l'ultima domanda tradizionale che facciamo sempre. Qual era il poster che avevi in camera da ragazzino?
I giocatori dell'Inter: Mazzola e Facchetti. L'Inter di quando ero ragazzino. Una fede che mi sono portato fino a oggi. Interista e anche tifoso del Lecce.

In grazia di Dio, in uscita il 27 marzo, è distribuito da Good Films. Qui ne potete vedere il trailer.