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La scuola più pazza del mondo: l'animazione sfiora l'horror ma coinvolge i più piccoli

“I mostri? Persone interessanti uguali agli umani”. L'intervista al regista Hitoshi Takekiyo

04.03.2014 - Autore: Pierpaolo Festa
Al buio e con i mostri. Un ambiente poco raccomandabile e tuttavia ideale per l'avventura delle tre giovanissime protagoniste de La scuola più pazza del mondo, film d'animazione diretto dal regista giapponese Hitoshi Takekiyo che ai microfoni di Film.it spiega la necessità di realizzare un film di animazione a metà strada tra la cultura giapponese e quella occidentale, trovando il suo campo da gioco in una sorta di horror per grandi e piccini, nostalgico di un'epoca cinematografica come quella degli anni Ottanta: “Il mio obiettivo era ricreare un'atmosfera che ricordasse film come Ghostbusters e I Goonies. Quelle pellicole avevano tanto cuore oltre che una storia di fantasia dark”. Sullo schermo le tre bambine gironzolano tra le aule di una scuola popolata da un modello di uomo anatomico parlante, uno scheletro tornato dal mondo dei morti, un manipolo di altri mostri e una gang di conigli da laboratorio che sembrano aver visto troppo i film di Martin Scorsese: “Questi personaggi hanno un look spaventoso, ma la loro principale caratteristica è che sono simili agli umani - continua il regista - Ecco perché non sono temuti dalle tre protagoniste. Loro non li giudicano: questa è stata la soluzione per affrontare un elemento che sulla carta era spaventoso ma che in realtà riesce a essere divertente per un pubblico giovane e adulto”.


Le bambine protagoniste de La scuola più pazza del mondo (Foto Microcinema Distribuzione)

Queste protagoniste sono avvolte dal buio, allo stesso tempo è proprio dall'oscurità che esplodono i colori. Ha voluto realizzare un horror per un pubblico giovanissimo?
Non c'è horror in realtà. All'inizio il film sembra dark, ma quell'atmosfera rappresenta solo l'ingresso delle bambine all'avventura. Volevo raccontare la vita di tutti i giorni di questi mostri, che sono capaci di ridere e piangere, sono testardi o possono essere vigliacchi. Più le bambine si avvicinano a loro, più i colori aumentano. Questo per sottolineare la coesistenza di mondi diversi.

Pensa che l'audience più giovane sia attratta da questo lato macabro nella storia?
Non c'è dubbio che ne siano attratti. Credo che le storie misteriose stimolino l'immaginazione dei più giovani: è importante iniziare a giocare con questa immaginazione quanto prima nella vita.

Quanto vale questa sua ultima affermazione per l'audience in Giappone? Ci sono secondo lei differenze con il nostro Veccho Continente?
La verità è che i giovani giapponesi hanno facilmente più accesso a contenuti un po' dark. In Europa invece sono gli adulti più rivolti verso queste genere di storie.


I fantasmi musicisti (Foto Microcinema Distribuzione)

Dunque da una parte l'elemento horror, dall'altra non è un mistero che una delle idee di partenza sia stata l'intenzione di ricreare un humour in stile Mr. Bean. Quanto è difficile provare la slapstick comedy nel mondo dell'animazione?
Estremamente difficile perché tutto è una faccenda di tempi comici. Questa è stata la sfida numero uno: le risate sono più facili quando sono provocate da battute o situazioni e nei film in carne e ossa è più facile metterle in atto. Per questo ho deciso di affidarmi alla motion-capture, per aggiungere tratti umani all'animazione e ottenere uno humour fisico.

Avete abbassato i riferimenti alla cultura giapponese per realizzare un film rivolto a un'audience più internazionale. Su quali elementi della cultura occidentale avete puntato?
Sui film degli anni Ottanta: da Star Wars a Ghostbusters, ai film di Bruce Lee girati a Hong Kong che hanno spopolato in tutto il mondo, agli action con Jackie Chan. Allo stesso tempo mi sono ispirato a Captain Harlock. Mi piace definire questo lavoro come un “film d'animazione senza alcuna nazionalità”. Gli anni Ottanta hanno tirato fuori tante idee, è stata un'epoca di apertura mentale. Ecco perché film come Ritorno al futuro sono riusciti a spopolare in tutto il mondo e ancora oggi non sono invecchiati.

Quali sono invece gli elementi giapponesi che possono affascinare un'audience occidentale?
Devo ammettere che lo stile di animazione giapponese è affascinante: è strano, ma questo stile è uscito fuori nonostante scarsezza di tempo e budget. È stato il frutto della frustrazione dei creatori. Ecco in cosa siamo bravi, nel tirare fuori qualcosa da un ambiente limitato.


I conigli gangster (Foto Microcinema Distribuzione)

Parlare degli anni Ottanta vi permette anche di rivolgervi a un'audience più adulta. In che modo dunque gli spettatori che sono genitori possono aprirsi a questo film?
Penso agli spettatori che amano Ritorno al futuro e che, durante la visione de La scuola più pazza del mondo, si ritrovano con un ghigno sulla faccia. Era questo il mio scopo: rendere il film emozionante per più generazioni.

Attualmente l'animazione va avanti grazie a prodotti come quelli Disney/Pixar o quelli dello Studio Ghibli. Crede che tra queste due scuderie ci sia una continua voglia reciproca di studiarsi a vicenda?
Devo ammettere che entrambi si influenzano a vicenda. Sono il modo di lavorare e la loro filosofia ad essere diversi. E' una benedizione per noi spettatori beneficiare di tanta varietà.

L'ultima domanda è quella tradizionale: qual era il poster che aveva in camera da ragazzino?
Star Wars, Star Wars e ancora Star Wars!

La scuola più pazza del mondo è distribuito da Microcinema Distribuzione.

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