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La pelle dell'orso: Marco Paolini presenta il western di formazione ambientato sulle alpi

L'attore teatrale debutta come protagonista al cinema nel film tratto dal libro di Matteo Righetto

04.11.2016 - Autore: Pierpaolo Festa (Nexta)
"Alfred Hitchcock diceva che non si doveva lavorare mai con gli animali né con i bambini. In La pelle dell'orso ho violato la sua regola e fatto entrambe queste cose". Nel corso degli anni Marco Paolini ha spesso flirtato con il cinema. A distanza. L'attore e autore, noto per i suoi spettacoli e monologhi teatrali, ha già lavorato per il grande schermo, entrando dalla porta di servizio dei set. Un luogo in cui è sempre rimasto per pochi giorni di riprese. Nel nuovo film di Marco Segato, tratto dal libro di Matteo Righetto (edito in Italia da Guanda), lo vediamo in prima linea come mai era successo in passato. Un debutto da protagonista assoluto. 

Siamo in un paesino delle Dolomiti. Più di sessanta anni indietro nel tempo. Un orso terrorizza la comunità di minatori. Bisogna abbatterlo. Paolini è Pietro, l'uomo che si fa carico di questa missione. Una missione che diventa una scommessa con il suo datore di lavoro: se ucciderà l'orso avrà uno scatto finanziario significativo, se non lo farà dovrà lavorare gratis per un anno. A quel punto si avventurerà nei boschi, armato di fucile e in compagnia del figlio, il ragazzo con cui non è mai riuscito a instaurare una sana relazione paterna: "Interpreto un ex galeotto - ci racconta Paolini -  uno i cui rapporti con gli altri non possono che peggiorare. Quest'uomo prima della guerra era uno che si faceva ancora rispettare. Ora è un emarginato. La sua scommessa forse è la possibilità di risalire la china". 

 
Padre e figlio sullo schermo hanno un rapporto disastrato. La donna della loro vita è uscita di scena. Quanto l'assenza di questo personaggio femminile comporta la perdita definitiva della bussola di questi personaggi? 
Tanto. Questo è un dramma popolare, non è un dramma borghese raffinato in cui le cose si elencano per sfumature. Qui i sentimenti sono abbastanza definiti all'inizio e fanno fatica a sbloccarsi, anche per il carattere di questa gente che sembra ruggine. 
 
Il film è tratto da un romanzo di formazione: il ragazzino entra nella vita adulta nel momento in cui passa qualche giorno nei boschi con il padre. Credo però che la formazione riguardi anche il suo personaggio...
Certamente. L'evoluzione biologica è una cosa, ma c'è un altro tipo di evoluzione, quella culturale, procurata da rapporti trasversali e anche da ciò che un figlio può trasmettere al padre. Dentro di me penso che Pietro nei pochi giorni in cui è ambientato il film faccia molta più strada che negli ultimi anni della sua vita. 
 
A tal proposito mi chiedo, lei ha compiuto 60 anni lo scorso marzo, ne La pelle dell'orso divide lo schermo con il giovanissimo Leonardo Mason. C'è stato qualcosa che lei ha imparato dal suo collega?
Leonardo non era un attore e non potevo trattarlo come tale. E' un ragazzo di 13 anni con le idee chiare sul suo futuro. Durante le riprese ha fatto gli esami di terza media, andando a letto alle due di notte e svegliandosi alle sette del mattino per fare gli scritti. Ha la testa sulle spalle e ha tutto il mio rispetto. Non vuole fare l'attore, vuole iscriversi a ingegneria. Per lui era importante fare un'esperienza nuova, un'esperienza faticosa che ha affrontato con una energia che non è mai calata durante il periodo di riprese. Sono rimasto molto colpito da questo. 


 
La pelle dell'orso è prodotto dalla sua Jole. Lei ha dichiarato che passare al cinema è "coerente all'interno del percorso di questa sua casa produttiva". Da quanto sognava di farlo? 
Non ho ricevuto molte proposte di fare il cinema se non dagli amici: ho partecipato al film di Carlo (Mazzacurati, NDR) e ho lavorato brevemente con Moretti in Caro diario, Segre e Ferrario. E una partecipazione più impegnativa con Luchetti. Non ho una consapevolezza di quello che posso fare nel cinema. Non posso pensare che sulla base del mio lavoro teatrale io sia in grado di fare il cinema a occhi chiusi. E' una cosa che devo dimostrare a me stesso cercando di non abusare delle esperienze fatte prima. Mi rendo conto che il cinema è più vicino a certe cose della mia vita, più di quanto lo sia il mio lavoro a teatro. 
 
C'è un archetipo cinematografico a cui ha pensato per il suo personaggio? In altre parole, mentre era sul set ha avuto in mente qualche modello?
In questi giorni scherzo con il pubblico e penso a Gian Maria Volonté in versione western. Attenzione, non Clint Eastwood, Volonté. Non ho mai pensato a questo sul set, anzi credo che il mio modello fosse proprio l'orso, quello vero! 
 
Poco fa ha nominato Carlo Mazzacurati di cui era amico. Cosa ha perso il cinema italiano con la sua morte?
Penso alla grande sensibilità di Carlo. All'empatia. A come era capace di creare relazioni con le persone: al di là dell'artista ricordo una persona affettuosa e generosa con chi stava intorno. Sento fortemente la sua assenza su questa terra.


 
E' giusto pensare che ritroveremo Marco Paolini di nuovo protagonista in un nuovo film?  
Sì assolutamente. Mi rendo conto che chi fa il cinema deve stare a disposizione, per quanto mi riguarda è difficile incrociare questo lavoro con l'attività teatrale. Maestro di tutti è Toni Servillo che riesce a fare la sua stagione teatrale e poi lavora sui set in estate. Io ho una sana curiosità per fare ancora del cinema, ma non ho nessuna fretta. Non dipende da quello il mio pane quotidiano. 

La pelle dell'orso è distribuito nei cinema da Parthenos: vai alla scheda del film per trovare la sala più vicina e l'orario del tuo spettacolo.